PUBBLICAZIONI STORIA E DOCUMENTAZIONE
TRIESTE E LA FRANCIA Storia di un consolato di René Dollot Traduzione di Marilì Cammarata |
Allorché l’Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione ha deciso d’avviare una specifica "Collana di storia e documentazione", è stato stabilito che in essa dovessero trovare ospitalità tanto lavori di giovani ricercatori da valorizzare quanto recuperi e riproposte di testi classici ma ormai irreperibili sul normale mercato librario, ed è in tale ottica che si colloca la pubblicazione della traduzione italiana di questo bellissimo libro, dovuto a un illustre rappresentante di una nobile tradizione di diplomatici umanisti, particolarmente prestigiosa in Francia - si pensi solo a un Paul Morand, qui, d’altronde, citato di scorcio -, ma che può annoverare altri validi esponenti europei, quali Ivo Andrić - il cui romanzo La cronaca di Travnik. Il tempo dei consoli, da pochi mesi (2001) riproposto da Mondadori in una nuova traduzione, per più aspetti può essere considerato un magnifico riscontro balcanico in forme narrative del saggio storico del quale si ragiona -, Harold G. Nicolson, Salvador de Maderiaga e, a suo tempo, sir Richard Burton, dal 1872 al 1890, va ricordato, console a Trieste (e lo stesso prestigio intellettuale di parecchi tra i funzionari in essa accreditati testimonia della sua importanza non solo emporiale agli occhi dei governi stranieri), dove morì, al quale, tra l’altro, si devono interessanti pagine su quello che allora era il Litorale Austriaco, oltre che in Italia - emblematici in tale senso i nomi di Sergio Romano e di Rinaldo Petrignani, René Dollot, diede alle stampe nel 1961, presso l’editore parigino Pedone, questa vera e propria dichiarazione d’amore per il capoluogo giuliano, nel quale aveva svolto la sua attività consolare dal 1919 al 1931, intrecciando solidi rapporti di stima e d’amicizia con la sua classe dirigente e con i suoi intellettuali e studiosi più qualificati, da Attilio Hortis - per il quale fece da tramite con l’insigne petrarchista Pierre de Nolhac - a Oscar de Incontrera, apprezzato in modo particolare per la qualità delle erudite indagini archivistiche e bibliografiche compiute nel medesimo campo d’interessi. Camillo de Franceschi e Attilio Gentile - insomma alcuni degli esponenti più significativi della Società di Minerva d’allora -, da Umberto Saba a Italo Svevo e a Silvio Benco, alle cui figure e opere ebbe modo di dedicare numerosi saggi e interventi critici, senza dimenticare l’incontro con la principessa Maria della Torre e Tasso, protettrice e generosa ospite di Rainer Maria Rilke al tempo delle Elegie duinesi, svolgendo una preziosa opera di mediazione culturale tra la Francia e il capoluogo giuliano, la cui passione irredentista seppe cogliere con lucidità e intelligenza, come si può notare anche nelle pagine conclusive di questo volume, che offre molto più di quanto il titolo, limitativo, a prima vista possa far credere, dal momento che quella che si dipana in un linguaggio scorrevole ed elegante, per nulla inutilmente dotto e noioso, è una ricostruzione puntuale e sempre documentata della molteplice rete di relazioni economiche, sociali, culturali, educative, politiche che per quasi due secoli hanno collegato l’area altoadriatica alla "sorella latina" transalpina.
Svolgendo la propria attività consolare non da semplice burocrate, ma con vivo interesse e attenzione sia per i diversi aspetti della vita pratica e morale dell’ambiente in cui si trovava a operare sia per il passato dell’ente del quale era il responsabile pro tempore e la cui importanza ai fini dello studio della società cittadina è stata messa nel debito rilievo pure da Ennio Maserati nell’articolo Guglielmo Oberdan tra mito e realtà, apparso nel n. i dei "Quaderni Giuliani di storia" del 1982, l’autore di Trieste e la Francia ha fornito un eccellente esempio di storia diplomatica nell’accezione più ampia e migliore del termine - che per certi versi può ricordare il tuttora insuperato capolavoro di Federico Chabod sulle premesse della politica estera italiana dopo l’unità -, oltre che non municipalistica, lumeggiando con finezza l’incidenza e l’influenza a diversi livelli degli avvenimenti della cosiddetta "grande" storia e della cultura francese in ambito locale, ricostruite non mediante un discorso astratto e tenuto a un livello generale e, quindi, generico, bensì seguendo le vicende istituzionali che misero in rapporto i due termini della diade del titolo - le tre occupazioni napoleoniche, ad esempio - e i percorsi biografici di scrittori come Stendhal, per breve tempo suo predecessore nel consolato - ed è dalla curiosità per tale episodio che prende avvio la ricerca confluita nei capitoli che seguono -, Chateaubriand, Nodier, Paul Valéry, che in momenti diversi e per ragioni diverse passarono per, o comunque ebbero contatti con la città di San Giusto - non tralasciando, peraltro, neppure Jules Verne, che la descrisse nel romanzo Mathias Sandorf, né i riferimenti a essa negli scritti di Charles Yriarte, il vano intervento di Victor Hugo in favore dell’Oberdan dopo la sua condanna a morte e il soggiorno di Pasteur nella vicina Villa Vicentina -, che la tempestosa età rivoluzionaria prima e imperiale poi a cavallo tra Sette e Ottocento rese di volta in volta ospitale rifugio degli emigrati monarchici, dei napoleonidi esuli dalla patria dopo il 1814 e infine di parte dei fedelissimi che dopo la gloriosa rivoluzione del 1830 avevano seguito Carlo X di Borbone nel suo esilio sulle rive dell’Isonzo - sul quale episodio è ora disponibile la traduzione del documentato volume di Luigi Bader I Borboni di Francia in esilio a Gorizia (Cassa di risparmio di Gorizia, 1993) -, sicché il risultato è un agile e originale profilo storico, irradiante nuova luce su un aspetto particolare della Trieste moderna, ricca di etnie e di fedi, ma nelle indagini sulle quali è raro trovi un adeguato posto la componente francese, benché studi settoriali in materia anche di elevata qualità non manchino.
È abituale menzionare la prestigiosa schiera dei germanisti cittadini, illustrata dai nomi di un Devescovi, di uno Spaini e di un Magris, ma altrettanto corretto sarebbe non ignorare quella dei francesisti, onorata da uno stendhalista appassionato e competente quale Bruno Pincherle - e ancora grida vendetta al cielo la perdita della sua biblioteca specialistica, passata a Milano, causa la colpevole insipienza dei reggitori cittadini del tempo -, sulla cui scia si pongono altresì i notevoli lavori di Nora Poliaghi - si ricordino solo Stendhal e Trieste, edito da Olschki nel 1984, e La veille de la Saint Grisogone. Un’ipotesi per Stendhal, dato alle stampe nel 1997 proprio dall’Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione -, e le iniziative a suo tempo promosse dalla benemerita sezione triestina della SIDeF (Società italiana dei francesisti) sotto la guida della prof.ssa Gabriella Casa, come i convegni per il bicentenario del 1789 e sul Nodier negli anni "illirici", il cui famoso Jean Sbogar, capostipite, per più versi, del filone letterario dedicato ai briganti balcanici e del relativo stereotipo, è stato, del resto, tradotto nel 1996 da Adriana Gerdina per l’editrice triestina Alabarda.
E poiché si parla di versioni, è doveroso ricordare che a Marilì Cammarata, che ha il merito d’aver proposto all’Istituto la pubblicazione di questo testo, curandone altresì la stampa, si deve pure quella di un precedente contributo del Dollot, Monsieur Stendhal sulle rive dell’Adriatico, uscito nel 1995 per i tipi dell’editrice Parnaso, essa pure attiva nel capoluogo giuliano, e che riguarda un punto particolare, e centrale, della presente trattazione, affrontato in maniera articolata e approfondita. Le pagine che seguono, infatti, costituiscono soltanto un momento, per quanto di rilievo indiscutibile, del costante e appassionato interesse dello scrittore diplomatico per la civiltà letteraria italiana, e in specie per quella triestina, come appare evidente, oltre che dai molti titoli specifici riportati nella bibliografia finale, anche dai Ricordi italiani. Gabriele D’Annunzio e Paul Valéry, con uno studio su Giulio Grassi, avo materno di Paul Valéry, accolti già nel 1952 nella raffinata collana dello Zibaldone di Mita Pittoni in luogo dello stesso Trieste e la Francia, ad essa originariamente destinato, il che non avvenne per le ragioni, esposte dall’autore, che si possono leggere più avanti, sicché l’opera, dopo esser comparsa a puntate nella "Revue d’histoire diplomatique", venne subito dopo proposta in volume in francese. Che ora quel progetto, pur se dopo un’attesa fin troppo lunga, sia ripreso e portato a compimento dall’Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione dimostra che la prestigiosa iniziativa dell’amica di Giani Stuparich, troppo presto interrotta per il disinteresse di chi avrebbe dovuto sostenerla e consolidarla, ha trovato un’istituzione - come, d’altronde, era nei suoi obiettivi iniziali - in grado di riprenderla e di riproporla in maniera autorevole, a tutto vantaggio della vita culturale non solo regionale, indirettamente rilanciando e sviluppando, così, il dialogo con quel settore dell’italianistica francese che per merito di uno studioso quale Gilbert Bosetti, docente dell’università Stendhal di Grenoble, e del Centre d’études et de recherches sur la culture italienne contemporaine (CERCIC), con la relativa rivista "Novecento", da lui fondato e animato, ha dedicato una costante e intelligente attenzione a Trieste e alla Venezia Giulia.
Trieste e la Francia, perciò, si connota come un importante contributo storiografico, tutt’altro che superato per i quarant’anni trascorsi dalla sua prima pubblicazione, che illustra con finezza i versanti diplomatico, intellettuale e letterario delle relazioni tra le due realtà prese in esame, proponendosi come valido modello per auspicabili analoghe indagini sugli altri principali consolati attivi nell’emporio adriatico dalla sua rinascita settecentesca al Novecento - e in tale senso pare doveroso almeno ricordare che nel 1996 il triestino Samer, rappresentante locale di interessi marittimi turchi, ha promosso la stampa di un notevole volume, curato con la consueta perizia da Gino Pavan e tra i cui autori v’è la stessa Cammarata, su Trieste e la Turchia. Storie di commerci e di cultura, che s’iscrive nella medesima meritoria linea d’indagine -, che potrebbero consentire di lumeggiarne ancora meglio il radicamento tanto materiale quanto, e ancor più, spirituale nel contesto della moderna civiltà europea - e non solo mitteleuropea, termine del quale s’è fin troppo abusato e che non rende affatto compiuta ragione della ricchezza e complessità delle componenti della società giuliana - e mediterranea, della quale costituisce un esemplare microcosmo, dal Dollot illustrato con singolare partecipazione e acribia per la parte di sua competenza.
Fulvio Salimbeni