PUBBLICAZIONI
FUORI COLLANA
per MANLIO CECOVINI DA POGGIO BOSCHETTO A PADRICIANO TESTIMONIANZE DEGLI AMICI per i suoi 90 anni edito
nel 2004 |
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Quando si vorrà trarre un bilancio ragionato della vicenda intellettuale giuliana nel Novecento, non si potrà certo prescindere dal nome di Manlio Cecovini; umanista nel senso pieno e forte della parola, il fondatore dell’Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione è stato senza dubbio una delle personalità maggiori nell’ambito sia politico sia culturale regionale - e, per la verità, non solo tale -, svolgendovi un ruolo da protagonista. Altri potranno analizzare e lumeggiare la sua operosità come pubblico amministratore cittadino e deputato europeo, ma in questa sede, vocata agli studi, quale il suo promotore l’ha voluta sin dall’inizio, senza commistioni d’alcun genere con l’impegno partitico e la milizia ideologica, è sembrato opportuno onorarne il felice traguardo del 90° compleanno con una raccolta di saggi, ricordi, pensieri, che ne mettesse in adeguato rilievo la complessa e multiforme attività e incidenza nella “repubblica delle lettere”, un’espressione che qui si usa non a caso, perché rievoca quella particolare stagione della civiltà europea, tra Cinque e Settecento, in cui la condivisione di comuni valori spirituali e morali da parte dei dotti del tempo - campioni emblematici e modelli dei quali furono Erasmo e Pierre Bayle - consentì di mantenere vivi i valori della tolleranza, la filosofia del dialogo, l’amore e l’universalità del sapere in un’epoca di cozzo frontale tra chiese e sette cristiane, di crociate ideologiche e di guerre feroci per l’egemonia continentale, il contesto nel quale, tra l’altro, nacque e s’affermò quella massoneria in quanto movimento fondato sulla ragione, sul cosmopolitismo, inteso nell’accezione migliore del termine, sul superamento dei fanatismi e delle contrapposizioni confessionali, i cui meriti e la cui attualità sono stati sempre coerentemente e apertamente rivendicati dall’Avvocato, il quale, ideando l’istituzione che ora pubblica questa miscellanea, ha voluto offrire a Trieste e alla Venezia Giulia unautentico laboratorio di libera ricerca, sganciato da qualsiasi genere di condizionamento, nel quale studiosi dei più diversi orientamenti teoretici e pratici ed esperti nei vari settori disciplinari, ma accomunati dal riconoscimento della centralità della vera erudizione - che era il ragionamento che metteva insieme, nei drammatici e lacerati anni del secondo dopoguerra, uomini pur così differenti come don Giuseppe De Luca, Delio Cantimori, Carlo Dionisotti e Arnaldo Momigliano, portandoli a essere compartecipi dell’entusiasmante esperienza delle romane Edizioni di Storia e Letteratura -, potessero trovarsi insieme per favorire e promuovere le indagini sui molteplici aspetti ed elementi costitutivi della Venezia Giulia, che, è bene ricordarlo, in quanto tale esiste da nemmeno 150 anni, il felice neologismo ascoliano essendo stato coniato appena nel 1863, allorché, delineandosi una realtà nuova non più solo dal punto di vista governativo viennese, ma anche da quello etico-politico e nazionale, convenne inventare una parola che quella realtà sapesse e potesse esprimere nel modo più efficace, divenendone, ancora con l’Ascoli, “come e più che una bandiera”.
E poiché, come ormai ben sappiamo grazie ai nuovi indirizzi storiografici, le nazioni, grandi o piccole che siano, non esistono ab aeterno, essendo il risultato d’un complicato processo di costruzione di una specifica identità mediante la produzione di miti, di simboli, di linguaggi speciali, la rilettura e la rielaborazione del passato in funzione del presente, la “nazionalizzazione”, per usare l’icastico concetto caro a George Mosse, delle nuove generazioni tramite le strutture educative e, in genere, formative, l’Istituto Giuliano nacque proprio quale luogo privilegiato d’analisi critica, scientifica, di tale fenomeno, per intenderne fuori da ogni retorica e apriorismo, apologetico o polemico, l’effettiva sostanza e le tappe e i modi dell’edificazione, affrontandolo in modo unitario e organico, nella sua interezza, lasciandosi alle spalle la settorialità di centri accademicie di lavori, pur meritori, che prendevano in considerazione solo l’uno o l’altro termine (Gorizia, Trieste, l’Istria) costitutivi di quella particolare e peculiare regione che s’estende dall’Isonzo al golfo liburnico.
Non è certo, quindi, fortuito che colui al quale si deve uno dei più validi profili del patriottismo triestino abbia esplicitamente e ufficialmente definito il sodalizio da lui concepito al finire degli anni Ottanta - data non casuale, se solo si pensa a ciò che stava accadendo, e sarebbe ancor più accaduto poi, oltre confine e in tutta l’Europa centro-orientale e che ne attesta la sensibilità e l’acuto e vigile sguardo, insieme con la tempestiva percezione della necessità d’offrire un nuovo strumento d’indagine e nuove chiavi di lettura di una storia in sconvolgente divenire, che faceva saltare tutte le vecchie impostazioni e rimetteva in discussione consolidate tradizioni espositive e interpretative – “di storia, cultura e documentazione”, con ciò volendo sottolineare rispettivamente la prospettiva rigorosamente storica delle elaborazioni che ivi sarebbero state svolte, fuori da ogni ipotesi di discorsi astratti e banalmente generalizzanti, l’apertura a tutto campo, senza limitazioni prestabilite e preconcette, dei programmi di ricerca, intendendo la parola cultura nel significato più esteso e onnicomprensivo (dalla poesia alla narrativa, dall’arte alla musica, dalla saggistica alla storiografia, dalla filosofia all’economia), il tutto fondato sempre e soltanto non su vane chiacchieree stanche ripetizioni, più o meno riuscite, del già detto e scritto, bensì sul sodo e inoppugnabile documento, sulle fonti, insomma su quell’erudizione, o “letteratura” nell’uso settecentesco, e nella sua accezione migliore, alla quale sessant’anni orsono già faceva appello don De Luca per ritessere la tela del dialogo intellettuale stracciata dalla violenza catastrofica del secondo conflitto mondiale e alla quale ora, in tempi apocalittici di conclamata “fine della storia”, d’asserito tramonto delle ideologie, di riemergenti irrazionalismi, di presunti trionfi di un pensiero debole e di rinascenti integralismi, occorreva nuovamente ritornare.
Tale programmatica definizione, d’altronde, rifletteva la stessa impostazione concettuale dell’agire civile e letterario di Manlio Cecovini, sempre attento al dato storico, esperto nell’uso delle carte e dei documenti, signorilmente disponibile alle più varie avventure della scrittura, dalla saggistica alla narrativa e alla memorialistica, dalla filosofica alla storiografica - con l’eccezione di quella lirica, ma pur sempre amico ed estimatore di un poeta quale Biagio Marin -, stilisticamente avvertita e controllata, sobria, asciutta, rifuggente da lenocini e artifici verbali, caratteri che si sono trasfusi nell’Istituto e nel suo modo d’essere presente sulla scena culturale, guardando all’essenziale e a ciò che veramente conta, nelle sue collana editoriali - che riflettono i vasti interessi e la capacità di padroneggiare molteplici competenze di chi le ha progettate e avviate - dando spazio tanto alle prime prove di giovani e promettenti studiosi quanto al recupero di testi significativi ma ormai irreperibili sul mercato librario o alla riscoperta di curiosità e rarità bibliografiche anche non attinenti in senso stretto all’ambito giuliano.
A proposito del quale aggettivo andrà osservato che esso qualifica e connota l’Istituto in quanto espressione dell’intelligenza regionale, però non la storia, la cultura e la documentazione, che certo sono attente, ma non circoscritte e conchiuse esclusivamente alla realtà altoadriatica, nella consapevolezza che lo Spirito hegelianamente soffia dove vuole e che, fuor di metafora, la vita spirituale d’una qualsiasi determinata società vive e può manifestarsi nella sua integrale compiutezza solo e soltanto nel rapporto diuturno e nel confronto e nella comparazione costanti con quella delle realtà contermini, il che tanto più è vero e vale se riferito alla Venezia Giulia, ove s’intrecciano e si fecondano reciprocamente da secoli stirpi, correnti di pensiero e di fede, forme d’arte le più diverse, nonché flussi d’uomini e di merci, dando origine veramente a un unicum, che si riflette nella stessa biografia di quest’emblematico “testimone del Caos”, richiamandosi all’eloquente titolo d’un suo libro del 1990, e nella sua operosa esistenza, nella quale il sentimento dei doveri pubblici si nutre, alimenta e sostanzia dell’amore per le buone lettere e letture, mai percepite come mero otium e occasione di disimpegno, bensì come momento di crescita interiore, d’arricchimento intellettuale e d’approfondimento d’una disincantata conoscenza degli uomini, che, per converso, sollecita e impone l’operare al servizio della comunità.
E’ solo avendo presente un siffatto atteggiamento che si spiega la decisione di “inventare” l’Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione, che, a sua volta, poteva esprimere la propria gratitudine e riconoscenza al fondatore nell’unico modo consentito dall’impronta da lui ricevuta, offrendogli una silloge di scritti, diversi per temi, ampiezza, generi - e raggruppati in due distinte sezioni, la prima comprendente interventi relativi alla sua vita e attività, la seconda contributi su argomenti in qualche modo connessiai suoi interessi -, ma unificati dalla generale stima e ammirazione per quanto ha saputo fare e dare per la “piccola Patria”, gelosamente e caldamente amata, comunque mai in contrapposizione e in antagonismo, o con recondite tendenze separatiste e secessioniste, con la “maggior Patria” nazionale, parimenti cara, e con quella, altrettanto auspicata e vagheggiata, europea - un radicato e risentito orientamento dalle evidenti matrici risorgimentali, consapevolmente esplicitate, d’altro canto, con la scelta di dare alle stampe i tre corposi volumi di scritti e discorsi politici nella collana “Civiltà del Risorgimento”, organo del Comitato di Trieste e Gorizia dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, al quale egli è stato sempre vicino e fedele -, secondo la nobile tradizione giuliana incarnatasi nei “vociani” primonovecenteschi, auspicanti la pubblicazione di una rivista da intitolare “Europa”, che ne indagasse e facesse conoscere le molte anime (Scipio Slataper) - perché non riprendere quell’audace progetto, sempre valido e più attuale e necessario che mai? -, o tesi a recuperare l’europeismo mazziniano e risorgimentale (Giani Stuparich) o, infine, dedicatisi a tradurre i capolavori della civiltà letteraria tedesca (Alberto Spaini, Guido Devescovi, per certi versi e in taluni periodi lo stesso Biagio Marin), nomi, questi, ed esperienze che si ritrovano tutte nelle escursioni saggistiche “in Elicona” puntualmente segnalate nella bibliografia che completa questa doviziosa miscellanea, impari ai meriti del festeggiato ma testimonianza sincera dell’affetto dei tanti amici.
Fulvio Salimbeni