PUBBLICAZIONI POESIA

Una storia d'amore
e altre poesie

di Fulvio Fumi

ritorna alla pagina generale della POESIA

copertina UNA STORIA D'AMORE"Quando viene sulla terra, sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti sì nobili, e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano... piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine... Dove egli si posa, dintorno a quello si aggirano, invisibili a tutti gli altri, le stupende larve, già segregate dalla consuetudine umana... Perciocché negli animi che egli si elegge di abitare, suscita e rinverdisce, per tutto il tempo che egli vi siede, l’infinita speranza e le belle e care immaginazioni degli anni teneri".
Così argomenta Giacomo Leopardi in riferimento all’amore nella pagina conclusiva della Storia del genere umano, la prima delle Operette morali. Il ricorso alla profonda analisi che il poeta di Recanati fa del sublime incanto e inganno amoroso mi pare il modo migliore e il più efficace, per introdurre alle atmosfere estatiche e agli abbandoni, alle paure e ai trasalimenti, alle nostalgie, alle rivelazioni, suscitate da Eros, il dio eterno, che Fulvio Fumi ha fissato in versi luminosi e fluenti, dalla musicalità severa, dalla sostanza nobile: attimi senza confini, barbagli che accendono il mondo.
Abbiamo davanti un diario che racconta di una insperata stagione d’amore, sentita come ultimo dono dell’esistenza, come sorprendente indugio di pienezza e di esaltazione ai margini di un declino prossimo e certo. A indicarlo incombente è la matura ed esperta età, che non può non vedere i precisi contorni assegnati dal tempo al vivere umano con ferrea legge inesorabile. Le risorte emozioni, i fremiti del corpo che si sublimano in tensione mistica verso la totalità misteriosa della natura non possono offuscare la consapevolezza della fragilità di un sentimento che tuttavia si illude di essere invincibile avvolto com’è nella fascinazione che rapisce sensi e anima.
Fulvio Fumi
Dalla convivenza di questi due atteggiamenti antagonisti, dettati dalla esaltazione e dalla ragione, trae alimento una poesia che si intreccia di voli e di cadute, di celeste dimenticanza e di sussurrati richiami al principio di realtà. Torna il corpo a corpo romantico tra amore e morte, all’interno di una non del tutto convinta rassegnazione, nei modi di un allenamento al distacco che si esercita proprio quando più forte si afferma e grida l’attaccamento alla vita.
Il facile dramma a effetto è tuttavia evitato: l’amore si intuisce possente, ma nella rappresentazione prevale il senso di una sua calma continuità; è attivo quasi un freno di pudore che lo vuole salvare da disturbanti sguardi, proteggere da ogni forma di erosione, arrestarlo in un metatempo impossibile da riconoscere sui calendari ma possibile nella mente e nella memoria, mentre la morte è una silente ombra, cieca e allungantesi su un residuo di giorni sempre più sottile, dove poco spazio resta alla speranza.
La storia raccontata dalle liriche anela a trasferirsi in una piaga di intatta e incorruttibile stabilità, ma sotto il sogno o il rito religioso e scaramantico, generato da un cuore appassionato per tentare il miracolo improbabile già inutilmente inseguito da Faust, scroscia e dirama l’impetuoso fiume carsico del divenire, si accampa l’ostilità del limite, così che il tono conseguente, adatto a esprimere affetto e rimpianto sulla stessa corda, è quello di una elegia dolce e virile. Il tempo trascorso che ha portato ai capelli bianchi e alla maturità, appare nelle vesti del nemico: il tempo che scappa dalle mani sempre più veloce, come l’ultima sabbia elude svelta il pugno che la stringe invano o scivola dall’ampolla semivuota della clessidra. Eppure per paradosso è in forza di esso che la vicenda estrinseca ogni sua possibilità; proprio il tempo ha allenato il cuore a un sentire vasto per cui l’esperienza si fa completa, in quanto collocata al sommo di una parabola di vita da dove la vista, oltre l’intensa luce del presente, si spinge ad abbracciare le prospettive a ritroso della memoria e quindi indugia senza disperazione sul buio prossimo, sul fondovalle opaco degli epiloghi.
L’albero nella tarda estate e nel primo autunno esprime di sé il massimo vigore ed è bello ancor di più se annoso, perché insegna la forza del suo persistere e perché si offre come esempio della fastosità di ogni tramonto. La giovinezza esulta e possiede, trionfa ed è superficiale, chi invece è divenuto lungo il rosario delle stagioni ha limato il turgore confidente e presuntuoso dell’individualità, è capace di contemplazione, di essere dentro di sé nell’esperienza e fuori di sé nel comprendere: per lui l’amore si fa voce che chiama all’origine e gli dice di una appartenenza a una energia universale, arcana.
Nel dettato di Fumi, che alimenta e trasmette questi sentimenti, trovano accordo, pacificate, la gioia e il suo spegnersi, si prendono per mano l’oblio e la più lucida coscienza di quanto realisticamente, accovacciato nel futuro, attende al varco; e crescono in sogno e gioco evocazioni e scongiuri, i primi per lasciare traccia del miracolo, i secondi per indursi a credere che sia concesso di poter a lungo protrarre la favola bella di una "felicità non attesa", per convincersi che nessun fiato di maligno vento possa spegnere "una fiaccola accesa / trovata sul sentiero / all’inizio del buio".
Il tempo è il grande antagonista; vincerà senza dubbio la partita, ma è pur sempre possibile con abili strategie allentarne a tratti la pressione; l’amore insidiato dalla fuga delle ore diventa l’antidoto, si trasforma in uno scudo protettivo, suggerendo il gesto magico dal quale può derivare almeno un’attenuazione della sentenza:

Come ad una fune
che mi trattiene sopra l’abisso
ad una ciocca di capelli dite dormiente
stringo attorno le dita.

Altra volta l’invocazione si indirizza esplicitamente alla donna amata, con tono di appassionato e struggente scherzo, tra volute di dolce sensualità:

Due piccoli grappoli d’uva,
bianchissimi, tiepidi
invitano alla vendemmia.
Melampo mia, a guardia della mia vita,
metti in fuga gli anni ladri
e scacci i terrori dell’alba.

In questo piccolo canzoniere innamorato Fulvio Fumi si aggrappa all’amore, dal quale riceve quasi una seconda acuta vista sensibile all’aura di mistero che avvolge la donna e in grado di diffondersi sul mondo a percepire fisicamente la concorde consonanza con le sue emozioni che si sprigiona dalle cose. Ne derivano la sbigottita e riconoscente raffigurazione di una creatura presente e lontana nello stesso tempo, lontana per l’intatta bellezza, impronta di gioventù, e le aperture su paesaggi di monte, di scogliera, rupestri, marini, sempre partecipi della quieta febbre di questa storia, del fuoco che dentro brucia e pur rattenuto traspare all’esterno.
La lode per la compagna e dea utilizza formule antiche, trasfiguranti, idealizzanti, cui il poeta trasmette nuova intensità, impastandole ai minuti richiami di una cronaca minore e privata, fatta di passeggiate, di risvegli, di contiguità fisiche consuete e confortanti:

Con le tue parole
con i tuoi sguardi
e l’armonia del tuo corpo,
il mio pensiero
ha modellato un’anfora
da cui bevo la vita.

Gianfranco ScialinoLa quotidianità, fatta di tante piccole azioni, ripetuti microriti richiesti dalla cure necessarie, diventa Io spazio della interminabile variazione del contemplare e del lodare, e qui in particolare la festa dei colori, cromatismo prezioso e allusivo, assolve al compito di garbata ammissione di desiderio, in cui si manifesta uno stupore traboccante di gratitudine:

Fingo attenzione per un banco di frutta
solo perché da sola mi preceda
ed io ne veda il passo leggero
e come parla e sceglie peperoni gialli
e foglie d’ogni tono dei verde umide e
fresche

e mele rosse
e i pesci d’argento e di color corallo.

L’equilibrio è perfetto quando la natura sembra convergere con tutti i suoi scenari sulla felicità di due creature; la camicia di forza del tempo si e lacerata, gli orologi non sbriciolano più i minuti e le ore, esistere non è più patimento, perdita o frusta accettazione del poco, è solo luce e sconfinata levità:

Un silenzio color perla
ci avvolge, e gabbiani e barche
che ci stanno intorno come
coperti da un velo
danno gioia ai nostri passi veloci.

Incantamento è sola vita degna: la volontà lo asseconda e dà mano a costruire il fatato castello dove rinchiudere, a salvarlo, il gran dono dell’amore; barriere e ripari tuttavia sono puramente illusori, frutto di una immaginazione che si inviluppa nell’autoinganno, per non stazionare nell’amarezza distillata dal raziocinio. Hanno origine da qui le strategie per tenere lontano il dispetto invidioso degli dei e degli uomini da un tesoro preziosissimo e fragile che "può vanire senza lasciar traccia / in un attimo / come la nebbia al soffiare del vento". Una delle astuzie può essere incamerare nella memoria, anzi trattenerle e serrarle in una scatola segreta, le immagini di lei in mille e mille atteggiamenti, in mille espressioni, da custodire, da farne riserva cui ricorrere se mai dovesse aver luogo la separazione:

Le tirerò fuori un giorno,
quando non mi vorrà più,
e intrecciandole una all’altra
piegherò il foglio per farne un calice
da riempire con le mie lacrime.

Astuzia maggiore, ingenua ma efficace secondo l’oroscopo dell’animo, è celare la propria ricchezza, la propria buona sorte, imitando lo scaltro contadino abile a ingannare piangendo la sorte, mentre in sé cova la soddisfazione, perché in realtà il suo campo è pesante di grano:

egli dice alle nubi:
sulla mia terra avvelenata
crescono misere spighe
non portate qui l’uragano
nulla vi è da distruggere.
Guardando in alto
temendo l’invidia del cielo
egli grida:
carestia, carestia.

Ogni amante si sente esposto alla ventura e quanto più ama di tanto con angoscia paventa la sottrazione del bene che lo esalta, così che lo vuole nascondere, riparare dai possibili colpi del destino, dal dispettoso commento degli uomini:

Anche il mio campo d’amore è ricco
dei tuoi sorrisi, delle tue braccia,
ma io mi lamento con tutti della mia salute,
dico sempre che la vita ormai è triste
e tengo nascosta la mia felicità.

Foglio dopo foglio si accumulano le variazioni di un canto in cui si rincorrono i motivi propri della rappresentazione dell’amore, motivi di sempre, che una sincerità gelosa rinverdisce nel suo onesto raccontarsi. L’amore è aria di primavera che mobilita ogni energia positiva della persona; è mistero che unisce; è meraviglia che rinnova ogni momento e ogni luogo in cui si collocano gli amanti; è ciò che può dare coerenza ai disseminati tasselli dell’agire quotidiano. Senza di esso lo smarrimento è certo in una opacità senza scosse e scoperte: per questo il poeta prima che si smorzi il grande anelito e cessi la divina battaglia si augura di finire come i gabbiani, improvvisamente, senza aver lasciato prevedere il tracollo, senza aver dato nessun segno indicatore di un prossimo fatale cedimento:

...quando in essi la forma perfetta si incrina,
un improvviso roteare di penne fruscianti
precipita nel mare
senza lasciare un segno da compiangere.
Questo morire fulmineo,
al sommo della mia giornata
avrei voluto anch’io avere in sorte.

Se il colpo di scena eroico raramente è concesso, allora all’uscita ci si prepara quasi smussando ogni rischio di trauma, ricorrendo a un pensoso equilibrio che s’impegna a rendere indolore, almeno nel proposito e nella immaginazione, l’appuntamento temuto e non procrastinabile:

e vicino a noi
non c’è nessun bagaglio
se non quello della mia lunga vita
né altro biglietto che quello
con la data ignota della mia partenza.

Se una sacca poi si deve assemblare, allestirla e riempirla sarà facile: basterà farsi accompagnare da quel poco che, badando all’essenziale dei sentimenti, coincide con il tutto purificato della vita:

Ci concedono un minimo bagaglio
perciò devo fare una scelta accurata:
non voglio avere rimpianti...
Ho messo allora nella mia valigia:
il tuo sguardo
la tua voce
e la carezza delle tue mani.

Lo scavo attorno al tema dell’amore, offerto nei modi di annotazioni da quaderno privato e come figurazione di archetipi, evolve e si completa in alcuni testi di meditazione nei quali si esplicitano alcuni cardini della moralità dell’autore. Vi fanno spicco il valore della pietà solidale, l’ammissione del bisogno degli altri, una tristezza non rassegnata ai mali che travagliano l’umanità.
Degna di nota è la contestazione rivolta agli eroi esaltati dalle trombe della retorica, il cui nome spesso è legato al funesto scorrere della violenza nei secoli, mentre il plauso e la condivisione fraterna si indirizzano agli eroi del sacrificio mite, agli eroi silenziosi, pacifici, rispettosi della vita:

Io invece amo,
in segreto per non essere deriso,
quelli di cui nessuno canta le gesta.
Amo chi paziente sotto grave soma
salendo nel fango
con fatica cambia il suo passo
per non uccidere un rospo.

Da ultimo, ed è un esemplare e ideale commiato dal colloquio instaurato con il lettore, Fulvio Fumi compendia il senso di una sua conversione da ormai remote onde di ribellione a una accettazione del vivere non fatalistica, bensì illuminata da una palpitante intelligenza amorosa:

Mi sento foglia dell’universo
e mi perdo nella sua armonia,
tanto che anche il sibilare cieco della falce,
che sempre mi rese dubbioso, oggi
mi sembra venga da una ragione
mossa dal bene.

Eros ha portato in alto il suo fedele, facendogli sentire il respiro possente e buono del cosmo.

Gianfranco Scialino


Fulvio Fumi, Trieste 1921, ha esercitato per molti decenni la professione di pediatra nella sua città. Le prime poesie vennero scritte attorno ai sessanta anni e ricevettero qualche buona critica in ambiente locale. L'autore vive ritirato nella sua casa di Santa Croce dopo una vita dedicata soprattutto ai pazienti e quasi priva di contatti con ambienti letterari.
Le poesie di questa raccolta rispecchiano pensieri e sentimenti vissuti nel corso degli ultimi vent'anni, e sono in parte cronaca e in parte fantasia. L' autore spera, con queste poesie, di indurre qualcuno a credere ancora al sentimento d'amore che sembra ogni tanto ridotto a divertimento fisiologico passeggero e non impegnativo.

ritorna alla pagina generale della POESIA

pagine composte da Trieste