LUNARIETTO 1996

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LUNARIETTO 1996Il "Lunarietto" è al suo secondo anno di vita. È stato accolto con simpatia e da più parti sono giunte sollecitazioni perché l'impresa continui. Può sembrare cosa da poco, ma non è così. Di calendari e lunari sono piene le edicole, e il nostro - dell' Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione - vuole distinguersi per originalità e qualità. Lo schema adottato per il 1995 viene conservato. Il volumetto si propone di informare e, possibilmente, anche di divertire. Le sue sezioni (Ricorrenze, Tempi andati, Un po' di storia, Poeti giuliani, Itinerari, Granellini di sabbia, Documenti) sono confermate. I testi sono arricchiti dall'arte di Romano De Mejo, che in questa occasione compare come pittore e illustratore. Alcuni scritti in lingua italiana o nei vari dialetti sono firmati, altri sono redazionali. Viene curata - senza pignoleria - un'equa rappresentazione di tutte cinque le componenti della Venezia Giulia: Trieste, Gorizia, Grado, Monfalcone e Muggia. L'impegno dei curatori-redattori è stato intenso e diligente. Ma naturalmente si può ancora migliorare. E questo è l'impegno per ogni anno a seguire. A tutti, buona lettura!

Manlio Cecovini


Zenèr di Salvatore Degrassi (POAETA GIULIANO)

Eco, rivao Zenèr
c'un gran colbaco in cavo:
segno che anche a Gravo
el fredo xe polar.

Zenaro col sô leo
fa duto un sbusineo;
caminâ sul reparo
'desso se va de raro.

Zenaro ne 'mpinisse de piova,
neve e giasso:
e fin che no finisse
no va nissun a spasso.

L'ano novo se sa
xe un campo ben arao;
col tempo cressarà
quel che s'ha semenao.

Zenèr xe scuminsiao
c'un giasso ecessional
e pûo '1 xe terminao
c'un grando sirocal.

Da matina fin sera
xe stao el paese invaso
de aqua, che sul raso
ha lassao scusse a miera.

DISEGNO FESTA DI CARNOVALERICORRENZE

Una mia mattata (l'ultimo di carnevale)

Se tutti si divertivano, perché doveva io starmi con le mani in mano, ritirato in un cantuccio, sospirando e pensando alla morte? Fossi stato pazzo!... Scivolai fuori di casa, ed incontratomi in alcuni baracconi della mia tempra, ideammo una mascherata. Detto e fatto; ci vestimmo da Pulcinelli. La mascherata non poteva essere più bene scelta. C'era allusione e c'era filosofia. Andammo in Corso, tutti raccolti come i reverendi degli Ignorantelli e come i frati Camilliani. Non facevamo male ad una mosca, eppure quel nostro abito mosse a disgusto taluno, per cui fummo obbligati a mutar costume. Vestiti da albanesi, ci recammo a visitar un nostro amico albanese, che teneva il suo bastimento poco lontano dal molo 5. Carlo, e là in lieta compagnia, con la moglie di lui e con altri suoi compagni, abbia-mo intonato mille brindisi. Sul più bello una maledetta maretta venne a turbarci: qualche maldicente asserì essere stato invece il vino che ne faceva traballare, io sostengo di no. Quando piacque al Signore, toccammo terra, e chi corse di qua e chi corse di là, per prepararsi onde andare alla cavalchina. Era l'ultimo giorno, e bisognava ch'io strambeggiassi più del potere. Andai dall'Ascoli, e gli chiesi un bell'abito per la cavalchina, di costume antico. - Non la dubiti, rispose, le darò un abito non plus ultra. E mi vestì come un gonzo del secolo XI. Così vestito, andai alla cavalchina. Credete voi che m'abbia divertito? Matti, se lo credete. Girai di qua, di là; incontrai molte maschere, ma tutte senza brio e senza vita. Erano le formiche che andavano e venivano senza dar segno di esultanza e di allegria. Il solo Miauciaugnauciung se la godeva, battendo le mani e gridando viva non so a quali maschere. Era suonata la mezzanotte!... - Eccoci in quaresima! - gridò uno della comitiva. - Pur troppo disse un altro sospirando. - Oh beata Milano! esclamò un terzo, quante feste, oh quanti chiassi ancora ti aspettano! - Volete che andiamo Milano? dissi io. - Bella idea - gridarono tutti, andiamo a Milano. Il progetto fu buttato giù in men che non si dice, e mutati i panni corremmo da Cimadori, a quell'ora così tarda, e fatti attaccare ad un omnibus quattro cavalli, ci dirigemmo verso Nabresina, onde colà attendere un treno che più sollecitamente potesse portarci a Milano nella città dei bagordi, delle pazzie, delle scostumatezze, delle confusioni, delle baldorie, della disperazione e della miseria. - Il caffè è pronto, disse la mia servente. Quella brutta vecchia, svegliandomi, mi aveva tolto al più bel sogno del mondo. Sì, lettori miei, tutto quanto v'ho narrato non fu altro che un sogno dell'ultima notte di carnovale.

Meneghino (da L'Arlecchino, 1865)

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