PUBBLICAZIONI BIBLIOTECHINA DEL CURIOSO

La donna nell'opera di Henrik Ibsen

di Alberto Boccardi

ritorna alla pagina generale della BIBLIOTECHINA

LA DONNA NELL'OPERA DI HENRIK IBSENQuello di Alberto Boccardi non è, oggi, un nome troppo noto neppure a Trieste e forse neppure tra le persone colte e gli "addetti ai lavori". Eppure, si tratta di una figura di spicco della cultura triestina del secondo Ottocento e del primo Novecento. Tant'è che Silvio Benco, nel redigere la sua nota "guida" di Trieste (Trieste, Mayldnder, 1910), lo considerava accanto a Svevo tra gli autori del cosiddetto romanzo "di analisi", forse con un rilievo leggermente più marcato - nella registrazione della presenza - rispetto a quello di Svevo. Alberto Boccardi entra nel quadro per più e diverse qualifiche: come narratore (autore di romanzi e di novelle, ma anche di fiabe), come autore di teatro ma anche promotore di attività teatrali, come bibliofilo, saggista e giornalista; come intellettuale che - da (e attraverso) una formazione e una frequentazione tardoromantica perviene a esiti di assorbimento della cultura realistica e di confronto con la cultura naturalistica. Ma Alberto Boccardi fu anche collaboratore di importanti associazioni culturali, tra le quali la Società di Minerva di cui fu a lungo tra i dirigenti. E, in politica, sostenne la causa liberal nazionale anche attraverso un impegno amministrativo e funzionariale. Studioso appassionato di personaggi, figure, istituzioni della vita triestina, collezionista di opere di genere vario relative alla città (che costituiscono un fondo importante della Biblioteca Civica di Trieste), Boccardi ebbe a subire conseguenze e vessazioni pesanti per il suo impegno nella causa nazionale. Critico teatrale attento al teatro realista, Boccardi fu anche autore di commedie e drammi nei quali il filo didascalico e moralistico si intrecciava con la ricognizione di problematiche reali e sociali e con tratti residuali pseudoromantici. Una linea, questa, che si ritrova anche nel lavoro del narratore. Nella già citata "guida" del 1910, Silvio Benco indicava in Boccardi un romanziere legato alla "corrente lombarda Collaboratore di diversi periodici triestini tra i quali 1'"Indipendente", Alberto Boccardi pose mano a testi narrativi di qualche rilievo, interessanti anche perché coevi ad alcune opere di Italo Svevo, con le quali è inevitabile un confronto. Per esempio, Cecilia Ferriani (Milano, Theves, 1889): storia di un' "eroina" (di condizione borghese e decaduta) e dei suoi sacrifici silenziosi a danno della propria felicità e a vantaggio di quelle dei propri familiari e di un'amica. Vicenda condotta, certo, con attenzione al contesto e all'ambientazione sociale ma anche tesa a una idealizzazione di sentimenti e alla sublimazione dei comportamenti. È un fatto, d'altra parte, che il Boccardi - esprimendo la propria poetica nella prefazione a un altro romanzo, Il punto di mira (Milano, Chiesa - Omodei - Guindani, 1896) - avrebbe ribadito che se la lotta per la vita era tema assai diffuso, allora, tra gli scrittori, egli avrebbe voluto saggiarlo ora non attraverso personaggi negativi quali potevano essere alcuni protagonisti di opere naturalistiche quanto piuttosto attraverso un personaggio "d'animo mite e buono, di mente fervida e culta, d'ideali alti e gentili, mossa dalla sorte nella necessità del combattimento", costretto a transazioni e rinunce. La quotidianità e il realismo di Boccardi romanziere puntava, dunque, all'evidenziazione di aspetti comuni positivi dei protagonisti, anche quando ne veniva disegnato il duro confronto con la realtà. Forse solo nel romanzo L'irredenta (Milano, Treves, 1902) la protagonista - dopo una lunga lotta contro pregiudizi e proposte disonorevoli o di compromessi - mostrava di piegarsi amaramente al destino e di cedere a una rassegnata visione della vita che sfiorisce e declina. E ciò in un racconto che non aveva più il taglio di "aneddoto morale" quanto piuttosto quello di uno "spaccato di vita". Certamente, i personaggi femminili e una problematica di lotta contro i pregiudizi e per l'affermazione di una propria etica individuale attraevano Boccardi. Sicché non è un caso che il suo lavoro siHENRIK IBSEN collochi tra quello di "triestini", e giuliani, interessati all'opera di Ibsen. Anzi, fu certo tra i primi a discuterne approfonditamente. Certo, in uno scritto sulla Catarsi tragica (non datato ma composto tra il 1908 e il 1909), Michelstaedter - che già aveva individuato in Ibsen, come in Tolstoj, un portatore di rivendicazioni profonde di giustizia - avrebbe elogiato Ibsen come "il più puro" autore drammatico: autore che otteneva - secondo Michelstaedter - "il risultato con l'azione ironica, con la rappresentazione negativa: cioè mostrando con l'azione la nullità, la relatività, la riducibilità delle azioni umane. Dal canto suo, Slataper, nel complesso e non sempre lineare itinerario critico dell'Ibsen (la sua tesi di laurea con revisioni e sviluppi successivi) pubblicato postumo nel 1916 - ne riconosceva, con la grandezza, le limitazioni di una "fredda e implacabile eticità" non superata (A. M. Mutterle), l'eccesso di "predicazione" che - scriveva Slataper - "cerca di calmarsi in una confessione poetica, malcontenta di essere solo poesia". In questo ambito di interessi, il testo della conferenza di Alberto Boccardi su Ibsen, tenuta il 3 marzo 1893 alla Società di Minerva e il 10 marzo al Gabinetto di Lettura di Gorizia (pubblicato a Trieste dall'editore G. Balestra nello stesso anno), rappresenta non solo un lavoro critico importante e di dimensioni ampie, ma anche un intervento pionieristico rispetto al dibattito sull'autore che si registra a Trieste o nella cultura giuliana. È un intervento complesso da più e diversi punti di vista e direzioni di discorso: perché rappresenta uno studio di tecniche, temi e strutture delle opere di Ibsen; perché difende lo scrittore nella sua lotta contro l'ipocrisia; perché solidarizza con Ibsen, malgrado qualche riserva. Boccardi ricostruisce il quadro della fortuna dello scrittore in rapporto alle interpretazioni delle due opere sulle scene italiane e alle reazioni - diverse e contrastanti - del pubblico e quelle della critica, in Italia e all'estero. E, di Ibsen, ricostruisce pure, sinteticamente, un ritratto dinamico a partire dall'adolescenza ("Osservatore acuto, dotato di una profonda intuizione delle anime, egli vede, sente e giudica le ansietà, gli scoraggiamenti, le aspirazioni, i dolori, le viltà, che contristano ed affannano la società moderna"). E analizza l'opera di Ibsen come "lo svolgimento logico, serio, conseguente, di un grande pensiero". Dunque, peso "dell'idea" nella costruzione dei personaggi talvolta a scapito della "verosimiglianza drammatica", emergenza - nella sua opera - della "naturale disposizione dei popoli nordici alle elucubrazioni nebbiose del misticismo"; e, ancora, interesse forte soprattutto per i personaggi femminili in ragione del peso attribuito alla donna nei "grandi problemi filosofici e sociali" ("figlia, amante, madre, la custode degli affetti, la creatura immensamente fragile e immensamente forte, l'elemento rigeneratore o distruttore della famiglia, del genio, della pace". Una successiva parte del testo è dedicata all'illustrazione e alla distinzione dei diversi periodi dell'opera di Ibsen. A proposito della quale, rilievi positivi sono svolti spesso anche nel senso di un'affermazione - da parte del Boccardi - di un proprio ideale d'arte. Come, ad esempio, a proposito del finale del Peer Gynt: una scena "toccante... piena di limpida consolatrice poesia", dove il poeta "tacciato sì spesso del più nero pessimismo, chiude questo suo poema dell'anima umana, il quale, al pari del precedente [il Brand], reca in sé come un alito vivo della gagliarda ispirazione goethiana". E, se Boccardi riconosce a Ibsen la capacità - nella costruzione delle figure - di "acute esplorazioni, compiute con la scorta di un metodo rigorosamente scientifico, ne' vari campi della vita" (soprattutto nell'ambito della famiglia), critica certi aspetti retorici, troppo semplici, inverosimili di certi drammi (come Le colonne della società, che tuttavia "giunge al fine morale che si proponeva"). Dunque riserve ma anche riconoscimenti: come, per Rosmersholm, giudicato "nuovo studio di donna, ardito, eccentrico, originalissimo In ogni caso, Boccardi avverte lo spettatore circa la necessità di cautele di fronte a un lavoro drammatico che non può essere giudicato con i parametri consueti: "Il simbolismo - scrive Boccardi a proposito del Costruttore Solness - trionfa anche in questo lavoro; e di naturale conseguenza a chi si rechi in teatro per assistere ad un'azione strettamente umana non potrà apparire che oscuro, fantastico, incomprensibile talora, quello che sulla scena si svolge o che i personaggi si dicono. Ma non è con questo criterio che l'opera ibseniana può e deve essere giudicata". Del resto, anche la conclusione del saggio è condotta nella linea del riconoscimento dell'interesse che necessariamente scaturisce dall'opera di Ibsen, "discutibile, bizzarra, paradossale fin che si vuole, ma opera originalissima di uno spirito assolutamente superiore". Un'opera, per molti aspetti - afferma Boccardi - estranea "all'indole nostra meridionale". Un'opera che andava certamente studiata ma non imitata - secondo Boccardi - dai drammaturghi italiani, il cui obiettivo principale sarebbe dovuto rimanere sempre il sentimento ("Restiamo italiani anche in questo"). Dunque, meriti di volontà - secondo Boccardi - nella ricerca di capire e di contestualizzare, ma anche sbarramenti a eventuali effetti di imitazione di "mode" ritenute non congrue con il carattere del teatro italiano. Intelligenza e riserve, aperture e cautele: com'era proprio del carattere moderato del Boccardi, che peraltro non precludeva lo studio e l'analisi del nuovo e del diverso.

Elvio Guagnini

ritorna alla pagina generale della BIBLIOTECHINA

pagine composte daTrieste