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FUORI COLLANA
IL TEMPIO D'AUGUSTO DI POLA di Gino Pavan |
Quale introduzione
al rilievo del Tempio, segue nel libro uno studio che ho dedicato al mondo della
cultura veneta agli albori del Rinascimento. E una breve analisi di quanto avviene
nel momento in cui giungono a Venezia e a Padova gli artisti toscani portatori
del nuovo modo di fare pittura e arte. Tra questi Paolo Uccello, Andrea del
Castagno, Michelozzo, Donatello, Filippo Lippi. Andrea Mantegna saprà
dare un’interpretazione particolare all’arte nuova, nutrito nell’amore per l’antico
dagli umanisti veneti Felice Feliciano, Giovanni Marcanova, Matteo Bosso
ed anche dal suocero Jacopo Bellini. La conoscenza dei disegni dei monumenti
di Pola, in particolare di quelli dell’Arco dei Sergi e del Tempio d’Augusto
sarà motivo di ispirazione per questi artisti e per gli architetti del
tempo. Inoltre, il perfezionamento del modo di rilevare i monumenti antichi
per pianta, prospetti, sezioni e particolari, aiuterà i progettisti a
raffigurare con chiarezza e logica maggiore i loro lavori. Quanti
si aspettano di trovare in questa monografia uno studio completo sul Tempio
resteranno forse delusi. Le indagini che propongo sul monumento sono particolari
e raccolgono testimonianze personali di lavoro e di studio eseguiti in passato
ed in tempi recenti. Presento
nel successivo capitolo il rilievo del Tempio che fu la prima delle monografie
pubblicate dagli Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia
e Storia Patria nel 1971. Lo studio ormai esaurito viene ancora richiesto. Nel
frattempo Attilio Krizmanić ha assunto il rilievo fotogrammetrico del monumento
ed ha svolto importanti indagini sulla Triade del Foro. Sembra tuttavia
che i disegni eseguiti a mano usando tiralinee e pennini conservino intatto
il fascino dell’antico. Valido si presenta il raffronto proposto con
il rilievo del Tempio eseguito da Andrea Palladio tra il 1546 1547. Un
lavoro d’impegno per la difficoltà di lettura, di interpretazione e di
corretta trascrizione delle misure vicentine e la loro riduzione nella scala
metrica. Potrà sembrare inverosimile, ma lo testimonia chiaramente il
raffronto analitico pubblicato, le due misurazioni eseguite a distanza di quattrocento
anni si corrispondono, soprattutto nei particolari architettonici del monumento.
Note come questa segnata dall’architetto vicentino nei suoi libri: "...
i capitelli sono a foglie di olivo lavorati molto politamente. I caulicoli
sono vestiti di foglie di Rovere, la qual varietà in pochi altri si vede
e, è degna di avvertenza... " dimostrano la sua acutezza di
osservazione e ne testimoniano la presenza a Pola. Spesso
mi sono chiesto se non fosse stato preferibile assumere il rilievo usando il
piede romano e i relativi multipli e sottomultipli. Forse le dimensioni
avrebbero assunto un particolare valore proporzionale e così i rapporti
con i quali sono legati tra loro i singoli elementi architettonici. Bisogna
osservare che, dopo il rinvenimento del manoscritto di Vitruvio (1414), scoperta
fondamentale per la diffusione del movimento classicheggiante, architetti, disegnatori
ed artisti del Rinascimento hanno rilevato le antichità usando
unità di misura differenti quali il braccio fiorentino, il piede romano,
quello veneto o il vicentino. Facendo ricorso alla soluzione di lavoro per loro
più pratica. Se pensiamo
all’anconetano Ciriaco de’ Pizzicolli indagatore di antichità greche
fin dai primi anni del Quattrocento o alle importanti esplorazioni dei monumenti
greci, siriani ed egizi, compiute dagli architetti e dai disegnatori inglesi
e francesi del Sette e dell’Ottocento, constatiamo che la scala con la quale
misurano i monumenti sarà sempre quella adottata nel loro Paese. Nell’Ottocento
gli edifici romani di Pola e le aree circostanti vengono quotati in Klafter
di Vienna o in piedi veneti da Pietro Nobile e dai suoi collaboratori. Ciò
porta a concludere che il rilievo dei monumenti col sistema di misura antico
fa parte di una recente convinzione accademica da sperimentare in scala maggiore
di quanto finora è stato fatto. Nel libro
segue una relazione sul restauro eseguito al Tempio dopo il bombardamento del
1945 e alcuni appunti sui lavori fatti tra il 1919 e il 1923. Anche a
Londra esistono due interessanti ricordi del Tempio di Pola. Essi vengono illustrati
e commentati nel successivo capitolo, mentre in chiusura del volume una serie
di disegni, rinvenuti in questi ultimi anni nell’Archivio di Stato di Trieste
e in quello di Fiume (Rijeka), testimoniano l’attenzione avuta per i monumenti
polesi dai restauratori dell’Ottocento, in particolare dall’architetto Pietro
Nobile e dai suoi collaboratori. Al tempo stesso gli interventi evidenziano
i limiti dei restauratori sui criteri teorici della conservazione. Peccati veniali,
se pensiamo che ognuno di noi è figlio del suo tempo. (LUIGI)
GINO PAVAN, nato a Trieste, architetto e consulente per i Beni Culturali. Ha
studiato a Venezia e alla Scuola Archeologica Italiana di Atene, di cui ha progettato
la sede. Nel 1946 inizia a Trieste la sua carriera nell’Amministrazione delle
Belle Arti. A Venezia è architetto ispettore per Padova, Vicenza
e Rovigo, poi Soprintendente per le provincie di Ravenna Ferrara e Forlì
ed infine Soprintendente per i Beni architettonici, archeologici, artistici
e storici del Fiuli-Venezia Giulia, Consigliere nel Consiglio Nazionale per
i Beni Culturali e Ambientali e nel Comitato di Settore per i Beni Archeologici.
Dagli interventi a favore del patrimonio storico-artistico danneggiato nell’ultima
guerra, alla ricostruzione del Friuli dopo il terremoto del 1976, ha al suo
attivo alcune centinaia di restauri. Ordinatore di Musei e di Grandi Mostre,
curatore di cataloghi. Nei 145 scritti a stampa, ha rivolto i suoi interessi
di studio alla storia dell’architettura, a quella dell’arte, alla teoria del
restauro e alla storia patria; è stato docente universitario per restauro
dei monumenti. É accademico della Pontificia Insigne Accademia
Artistica dei Virtuosi al Pantheon, membro dell’International Council
of Monuments and Sites (ICOMOS), è presidente della Società
di Minerva, fondata da Domenico Rossetti nel 1810, e ne dirige la gloriosa rivista
l’Archeografo Triestino. ritorna
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