PUBBLICAZIONI SAGGISTICA

TRIESTE NEL CINEMA

Volume 1°

di Carlo Ventura

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TRIESTE NEL CINEMA Carlo Ventura ha, alle spalle, una lunga carriera di critico cinematografico militante. Un'abitudine quotidiana a tenere d'occhio l'insieme della produzione ma anche a pronunciarsi con franchezza circa il valore dei film recensiti, dovendo rendere conto dei propri giudizi ai lettori giocandosi la propria credibilità.
In questo quadro, Ventura ha radunato una serie di schede riguardanti film girati a Trieste, un territorio inteso in senso largo comprendente non solo la città ma anche la Venezia Giulia, «i dintorni carsolini e istriani», un arco di possibili scenari da Gorizia alla Dalmazia.
I film presentati e discussi, del resto, sono stati prodotti - nel tempo - per documentare vicende spesso drammatiche di questi territori; ed è quindi logico che essi, almeno in parte, siano stati girati sui luoghi di riferimento, salvo trasposizioni topografiche o falsificazioni e marchingegni da studio.
Il libro ha obiettivi più ampi. Vuol documentare - da un lato - l'interesse che il cinema aveva sùbito suscitato in una città moderna come Trieste, sicché la prima produzione di "fotografie animate" avvenne già nel luglio 1896, sei mesi dopo la prima assoluta di Parigi. E la città ebbe ben presto - come si sa - un alto numero di sale cinematografiche per diversi tipi di pubblico e con programmi atti a soddisfare gusti e interessi diversi.
Ma il libro vuol testimoniare soprattutto la fortuna della città e del suo territorio, chiamati a ricoprire - in tempi diversi - il ruolo di soggetti o di sfondi per opere cinematografiche di diverso rilievo e valore.
Anche oggi la fortuna della città in questo senso non sembra diminuita. Tutt'altro. Vediamo spesso, nelle vie e nelle piazze cittadine, gruppi di camion, roulottes o autoarticolati con macchinari, parchi lampade, attrezzature elettriche, uffici ambulanti e depositi di costumi per riprese in interni o in esterni di film per il cinema e la televisione.
Ventura ha registrato tutto con precisione, offrendoci un quadro alla cui essenzialità corrisponde una puntualità nel dettaglio e una sostanziale assenza di qualsiasi genericità di giudizio, mai peraltro eluso.
Ne escono notizie di grande interesse. Per esempio sui pionieri triestini del cinema, su una serie di film di testimonianza e di valore documentario del primo Novecento; anche su due pellicole di soggetto noir (Lo squartatore della canzonettista Lucienne Fabry e L'assassinio della cantante di varietà Lucienne Fabry) relative a un fatto di sangue e di violenza particolarmente efferato avvenuto a Roiano, opera di un truffatore che vantava ascendenze nobiliari e titoli professionali fasulli. E, poi, anche notizie su tante pellicole sulla prima guerra, film patriottici e di propaganda, girate in Italia negli anni del conflitto; e su altre girate sùbito dopo: opere che avrebbero sicuramente importanza documentaria per le immagini della città (salvo quelle girate in scenari contraffatti o in studio), non fosse che - in gran parte - si tratta di film scomparsi o introvabili di cui ci restano solo titoli o tracce cartacee.
La cronaca - schedario di Ventura attraversa anche il periodo della seconda guerra : talvolta - come nel caso di La statua vivente, 1943, di Camillo Mastrocinque - dovendo misurarsi, anziché con l'opera cinematografica - ormai introvabile - con i ricordi personali e con le recensioni, cogliendo così l'occasione per una discussione su caratteristiche salienti della critica di quegli anni ma anche per offrire qualche breve tratto autobiografico e di memoria: «Per quanto possano poi valere le reminiscenze di chi stende queste note, allora adolescente stupito ed entusiasta, rimangono intatte nella memoria le scene girate sulle rive e soprattutto quella del viale XX Settembre durante la fiera di San Nicolò, un non - luogo ormai mitico percorso dalle anime belle e dannate di Fosco Giachetti e della nostra Laura Solari, quasi un involontario e autarchico preannuncio di "donna che vive due volte": sulla loro scia facevano triestinissimo contrasto la ridanciana bonomia di Angelo Cecchelin e la non dimenticata Jole Silvani, una presenza che più tardi sarebbe stata recuperata persino da Fellini».
Le notizie che, in modo asciutto ma incisivo, questa breve ma intensa sintesi di Ventura ci fornisce anche sul secondo dopoguerra, sono numerose. E riguardano aspetti documentari del cinema alle prese con questo territorio, figure della Trieste cinematografica di allora (tra gli altri, il giovane aiuto-regista e critico Tullio Kezich), attori di prestigio della cinematografia italiana e straniera di allora impegnati nella lavorazione di film su Trieste, l'atmosfera complessa e difficile della città di quegli anni. Con sviluppi successivi negli intrighi politici e spionistici che sarebbero divenuti un sicuro motivo di interesse per tanti sceneggiatori e registi. A partire da quel Corriere diplomatico del 1951 (regia di Henry Hathaway, su testo di Peter Cheyney) dove, mentre Tyrone Power scrutava la città dall'aereo preparandosi alla missione, una voce fuori campo - ricorda Ventura - così definiva Trieste: «[...] città interessante, così come una volta lo erano Lisbona e Istanbul, città con le sue spie, con i suoi vivi e i suoi morti, con gli infoibati, i titini, gli stalinisti e gli antistalinisti, assieme ai 10.000 soldati tra inglesi e americani e una popolazione simpatica ed entusiasta».
Su stereotipi, qualche accenno di ironia, molti luoghi comuni, qualche tratto drammatico e sentito, e alcune deformazioni grottesche, si svilupperà una produzione che tocca anche temi relativi alla questione giuliana, all'esodo, alla fisionomia della frontiera, all'emigrazione, alle tragedie e sofferenze di quegli anni. Mentre altri capitoli riguardano, poi, l'esperienza basagliana, le molte trasposizioni cinematografiche («riuscite o no», ci ricorda il titolo del capitoletto) di opere letterarie (da Senilità a Ernesto), la strumentalizzazione del mito di Trieste come richiamo per il pubblico. Spesso all'origine di opere deludenti.
Nell'ordinato procedimento del libro, significativa appare la Conclusione che propone un flash di giudizi di valore che vede in testa Mauro Bolognini e Franco Giraldi, a debita distanza il giallo di Hathaway e quindi, ancora a distanza, una serie di nomi più o meno noti. Una classifica attenta ai valori della ricostruzione ambientale, al controllo della memoria storica, alla qualità dell'omaggio reso agli scenari triestini, ai complessi rapporti tra fantasia e realtà. Quasi una definizione dei paradigmi valutativi utilizzati da un critico che è anche un innamorato di Trieste e della cultura triestina; e che rende omaggio, nelle appendici di questo libro, a grandi figure della critica a Trieste come Tino Ranieri, al lavoro dei qualificati operatori (e spesso registi) della «dinastia» dei Vitrotti, ai festival cinematografici che hanno contribuito alla fama di Trieste come città di cultura cinematografica in Italia e all'estero.
In sintesi, questo di Ventura è un libro che informa, che rappresenta, che giudica, che offre spunti continui alla riflessione e per altre possibili e future indagini su questo tema così ampio e così complesso.


ELVIO GUAGNINI

Carlo VenturaNato a Trieste nel 1929, laureato in Scienze Politiche, Carlo Ventura unisce l'impegno civile (Presidente della Provincia negli anni Ottanta) all'attività di critico cinematografico e teatrale che ha svolto dal 1956 al 1971 per importanti riviste (come Trieste e Umana di Aurelia Gruber Benco). Dal 1960 al 1983 conferenziere ufficiale della sezione Spettacolo del Circolo della Cultura e delle Arti, nel decennio 1965 - 1975 è stato insegnante di storia del cinema all'Università Popolare di Trieste. Collaboratore di quotidiani e periodici nazionali (Il Ponte, Sipario, L'Avanti!, Momento Sera, tra gli altri), dal 1962, per circa un ventennio, subentra al critico Tino Ranieri nella rubrica giornaliera della "Terza Pagina" del Giornale Radio del Friuli-Venezia Giulia. Dal 1986 al 1994 è stato direttore del settimanale triestino La Voce Libera.

 

 

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