IL BANCO DI LETTURA

estratto dal numero 31/2005

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L'IDEA DEL BELLO NELLA SCRITTURA: YAFEH (da pag.13)

FRANCESCO PISELLI

Lo studioso di estetica non può non prendere nella più attenta considerazione, come quello che apporta una testimonianza antica e venerabile su un termine chiave della sua disciplina, il complesso di significati portato dalla voce scritturale ebraica yafeh, che incontro solitamente tradotto pulchrum, kalón, bello, ed equivalenti nelle lingue volgari a me note. Trascuro, salvo un paio di esempi analogici, di rilevare dai libri esclusivamente greci i meno precisi kal- e derivati, mentre per "bello" e "bellezza", quali più oltre occorreranno, avverto che in nessun modo devono essere presi muovendo da ciò che oggi, del resto variabilmente, mettiamo sotto le loro voci. Tali termini varranno soltanto (è un punto di metodo) come calchi di yafeh. A sua volta yafeh viene da me assunto e citato, oltre che come sta nei testi, in quanto riassuntivo delle sue forme grammaticali e dei suoi apparentati lessicali, che lascio per ogni indagine allargata ai filologi biblici specialisti.

Collazionando dunque le occorrenze di yafeh, si vede subito quanto diffuso soggetto ne sia l'esistenza umana in quanto corporea. Sarai (Genesi 12, 1), apre l'ala femminile della galleria, che continua ad esempio con le Tamar, Abisag, Ester, le figlie di Giobbe. Giuseppe dal bell'aspetto inaugura l'ala maschile, con Davide, Assalonne, Adonia, il principe di Tiro, mentre il Cantico ricompone l'opposizione sessuale in forma di sognante dialogo. Ma non mancano belle bovine, e belle spighe (Genesi 41, 2-7). A una giovenca bellissima è simile Egitto (Geremia 46, 20). Yafeh, anche un verdeggiante ulivo (Geremia 11, 16), e un robusto cedro (Ezechiele 31, 3). Godono di essere yafeh città e popoli (Giaffa porta l'attributo nel suo stesso nome): Gerusalemme, Tiro, Tirza. Anche prodotti artificiali, come la nave, cui è simile Tiro. Da notare: Tolta una bella saggezza (Ezechiele 28, 7), i soggetti di yafeh sono fisici e sensibili.

Yafeh si distribuisce in gradi oggettivi che si possono comparare e giudicare. Sarai è genericamente una bella signora, ma Rachele forza la scelta di Giacobbe perché più bella di Lia (Genesi 29, 17). Nessuno è bello in tutto Israele al pari di Assalonne (2 Samuele 14, 25) e delle figlie di Giobbe (Giobbe 42, 15) ; leviamo un canto di lode a quel Benedetto che fra i figli dell'uomo è il più bello (Salmi 45, 3). Suprema e perfetta la bellezza di Sion (Salmi 50, 2), di Tiro col suo Re (Ezechiele 28,12).

Un primo requisito, o prima proprietà generale, dell'essere yafeh, si ricava apprendendo come le vanitose figlie di Sion furono umiliate: invece di profumo fetore, di riccioli calvizie, di morbidi panni ruvida tela, invece della loro bellezza un marchio a fuoco (Isaia 3, 24). Se la bellezza è il contrario di uno stato doloroso e spiacevole, deve implicare un benessere in nessun modo alterato, come avviene per Assalonne, del tutto esente da difetti (2 Samuele 14, 25). Lo Sposo del Cantico passa in rassegna l'apparenza sensibile della sua amata, dai piedi ai fianchi alle guance ai denti, e la riconosce assolutamente e completamente bella, esente da ogni difetto (la sua abbronzatura non è un difetto). Deduco che, ad esempio, un lebbroso non può essere yafeh, e nulla di bello avrà avuto lo spettacolo del miserando Giobbe.

La sopraelevazione, fisica e sociale, apporta bellezza. La bella città, inespugnabile fortezza del nostro Dio, posa su una montagna (Salmi 48, 3). Il cedro, che si porta a Egitto quale esempio di rovinata eminenza, si estolleva sopra ogni altro suo compagno vegetale. Persone comuni come Sarai e Abigail sono yafeh e tutto qui, ma la fortuna di Giuseppe altissimo funzionario, i prestigi del grande Re di Sion, e della regina persiana Vasti, aggiungono un significativo tocco. La capigliatura prolissa del bel principe Assalonne è segnale del suo alto luogo. Come infatti è sentenza in qualche parte di Aristotele, che si riferisce alle abitudini lacedemoni, i capelli lunghi mal si adattano al lavoro servile.

Questa imponente regalità annessa a yafeh incute soggezione, come avviene all'Altura di Sion, terrificante per chiunque osi attentarla. La Bella del Cantico, lo vedremo più oltre, ha un che di terribile. Una delicatezza può comunque non mancare, come prova l'aspetto del biondino Davide, tale da far dubitare al primo incontro delle sue effettive abilità guerriere (Davide, quando poi assurse a regale dignità, non dismise le finezze della vita personale, della musica, e della danza).

Sia esso umano o animale o vegetale, maestoso, prospero, alto, terribile, delicato, ciò che è yafeh è tale da farsi visibile. Quando Sarai di Abramo giunge in Egitto, non c'è velo che riesca a nascondere agli indigeni la sua bellezza. A passare in rassegna le prigioniere, le belle si riconoscono subito (Deut. 21, 11). Assuero ingiunge a Vasti che gli lasci ostentare, munita di tanto di corona, al popolo e alla nobiltà la sua bellezza (Ester 1, 11). Sion dalla sua soprae­levazione esibisce alla vista di tutto Israele, anzi di tutta la Terra, la sua bellezza perfetta, lasciando apparire un celeste fulgore (Salmi 50, 2). Occhi ammirati contempleranno la bellezza del Re (Isaia 33,17).

Possono cosmetici e abbigliamento produrre una complessione yafeh, o almeno assisterla? Sarebbero sospetti perché è l'idolatra ad abbellire con foglia d'oro e argento il suo pezzo di legno (Geremia lO, 4), ed è Gerusalemme, un tempo la suprema, a invano farsi bella, oggi che è devastata, coi vestiti scarlatti, le frange d'oro, il bistro per ingrandire gli occhi (Geremia 4, 30), non differente da quella pessima Jezabel che si anneriva le palpebre di mascara per attrarre Ieu, il quale niente affatto sedotto ordinò che punto e basta la gettassero dalla finestra (2 Re 9, 30-33). Ma è un dato che la Bella del Cantico si adorna con vezzi d'oro, argento, perle, si spalma di unguenti profumati, e indossa sandali che ne valorizzano i piedini (Cantico 7, 2). Non sembra però incline a un più caricato abbellimento avventizio, meno che mai all'eccesso di profumazione in uso nell'harem di Assuero (Ester 2,12), e per la pelle le va bene quel caldo tono naturale che è tutto suo (di contro, il suo Diletto si distingue per il colorito bianco e rosso, Cantico 5,10).

Il Cantico evoca e concentra l'intero essere sensibile ed emotivo, che per loro è tutto l'essere, di due belle creature. Incompleto elenco: pascoli, frutteti e vigneti, fichi, melegranate, colombe, leopardi, caprette, riccioli, verzure, fioriture, spezie pregiate, avorio, oro, alabastro, corpi celesti, il corteo di Salomone, ogni cosa rapita in una piacevole ebbrezza, altro carattere dell'esistenza yafeh. Ma l'incanto di felicità, serenità e (modesto) lusso è inquietato da un sintomo preoccupante quando sentiamo: 'Tu sei bella, o Amica, come Tirza, aggraziata come Gerusalemme, ma terribile come un esercito a bandiere spiegate". (Cantico 6, 4). Forse è il segnale di qualcosa che nella condizione yafeh non va?

Non sempre va male per yafeh. Abigail, tanto bella quanto saggia moglie dell'opaco Nabal, sa come mettersi politicamente dalla parte giusta (1 Samuele 25, 3). Esther, bella e virtuosa, riscatta il suo popolo, Davide il bello abbatte il temuto provocatore filisteo. Giuditta, la cui intrepida bellezza fu opportunamente rilevata dall'abbigliamento e dai gioielli, riesce memorabilmente nella sua nota impresa.

Ma troppo spesso la bellezza non va affatto d'accordo con una buona vita, o si associa a deplorevoli sfortune. La presenza della bella Sarai produce menzogne, abusi, piaghe, l'espulsione di Abramo con tutta la famiglia. La storia fastidiosa del bel Giuseppe con la dama Potifar è nota. La casa di Davide è teatro di oltraggi, delinquenze e male morti che affliggono le belle persone: Tamar, Adonia, Assalonne; sventura in arrivo dal nord è per l'Egitto, bella giovenca (Geremia 46, 20). Vanno in rovina l'Assiria e Tiro, con tutta la loro bellezza: la bellezza di Gerusalemme è finita in abominio (Ezechiele 16, 25). La perfetta bellezza di Israele è scaduta in perversione e umiliazione (Ezechiele 16,13-25). Periranno di sete le sue belle vergini (Amos 8,13).

La bellezza non si contempla disinteressatamente, invita brame: "Il re bramerà la tua bellezza" (Salmi 47, 12). "Non desiderare nel tuo cuore la sua bellezza, non ti lasciare sedurre dalle sue palpebre" (Proverbi 6, 25), e qui può certamente trovarsi almeno una fonte di rovina e dolore. Ma è forse la stessa visibilità della bellezza che innesca il disordine? Davide si degrada vergognosamente dopo aver visto Betsabea, i vegliardi si accendono di insana passione dopo aver visto Susanna. La bellezza può andare congiunta alla scioccaggine e allora diventa simile a "un anello d'oro applicato al naso di un porco", (Proverbi 11, 22). Sappiamo pure che il Signore ha impresso la bellezza in ogni cosa, ma con la limitazione: in ogni cosa a suo tempo (Qohelet 3, 11). Il tempo giusto? Sia, ma egualmente o forse proprio per questo una caducità resta iniettata agli entiyafeh.

Sappiamo del nostro mondo che, per divino riconoscimento e conferi­mento, è tob, bonum (ad esempio Genesi, 1, 31), ciò che va d'accordo col parere di più di un metafisico, che l'essere sia un bene proprio in quanto essere. Chi per tob sta alle corrispondenti forme kal- dei Settanta, o soltanto è mosso dall'ammirazione per molte cose belle che constano alla sua esperienza, può essere portato a credere a una dichiarazione di bellezza, cosmica universale e pervadente, pancalia, come si dice in estetica. Ma se prendiamo per "bello, bellezza" i significati di yafeh fin qui descritti, ci avvediamo che, sebbene per il medio del soddisfacente e gradevole, tob e yafeh possano incontrarsi e intersecarsi, sia lessicalmente che concettualmente, come di fatto a volte succede, non si sovrappongono necessariamente. Può avvenire allora che la bellezza si palesi fallace e vana (Proverbi 31, 30), e che la dissonanza di yafeh rispetto all'essenziale originario messaggio ottimistico e positivo diventi lacerante. Forse ascoltandola ci avviamo alla domanda sul senso stesso dell'essere in quanto esistente creato.

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