IL BANCO DI LETTURA

dal numero 35/2008

da pagina 3

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Guido Conti

CARO GIOVANNINO,
UN POSTERO TI RISPONDE

Giovannino Guareschi (Parma 1908 - Cervia, Ravenna 1968) era solito scrivere "Lettere al postero", una rubrica che ebbe grande fortuna, che cominciò a scrivere nel primo dopoguerra e continuò per lunghi anni, fino quasi alla morte, avvenuta nel 1968. In verità, il postero, era suo figlio Alberto, e le lettere che pubblicava su "Candido" sono lettere che avrebbero dovuto essere lette, secondo le sue intenzioni, oggi. Sono messaggi in bottiglia che Giovannino scriveva allora, pubblicava sui giornali, con un intento ben preciso, quello di diventare attuali dopo la sua morte. E oggi le rileggiamo con una attualità che sembrano davvero scritto oggi e non quaranta o cinquant'anni fa. Scrivendo la sua biografia, Giovannino Guareschi, Biografia di uno scrittore (Rizzoli, 2008), ho pensato di rispondere a quelle lettere, perché sarebbe ora di cominciare a rispondere ai suoi messaggi spediti dal secolo scorso. Così ho scritto questa lettera, in un'ideale corrispondenza, perché uno degli aspetti forti della letteratura sta proprio nell'annullamento del tempo. La letteratura sta, diceva Singer, non diviene, non evolve, sta, matura, vive qui, ora, si sedimenta nel tempo. Così la mia risposta annulla il tempo e diventa un' appendice alla biografia appena pubblicata, in un dialogo ideale vivo, come dovrebbe essere la letteratura e in particolar modo la critica.Giovanni Guareschi


Caro Giovannino,

in un libro di critica o in una biografia queste cose non si fanno, ma io lo faccio turche sono uno scrittore e non devo rispondere a nessuno se non alle mie idee e allo mia coscienza, e ai miei bisogni come mi hai sempre insegnato. Quindi ti scrivo una bella lettera, come bisogna fare. Lo faccio da postero. Quando scrivevi la tua rubrica famosa, scrivevi anche a me, a ogni lettore, per cui mi sento in dovere di risponderti. La letteratura è un affare serio, un dialogo coi morti, ma lo sappiamo bene che i morti non sono morti, girano per la pianura e hanno ancora molte storie da raccontare. Una volta hai scritto: «Il massimo che mi è stato concesso in Italia è di essere "contemporaneo", ma nessun critico o nessuna autorità nel campo delle Lettere m'ha concesso di essere uno scrittore». Ecco, ho fatto del mio meglio per riparare a un'ingiustizia durata troppi anni e troppo a lungo. Ma la cosa che ti divertirà molto, è che questa biografia costringerà proprio le autorità delle patrie Lettere italiane a dover fare i conti non solo con te ma con tutto un secolo troppo presto incasellato e rinchiuso in scatole ammuffite. Il tuo maestro, il professor Bernini, sapeva bene che cos'era l' umorismo e ha saputo indirizzarti bene nelle letture giuste. Sei uno scrittore del Novecento che ha radici forti, e come tutte le piante, se hanno radici profonde, vivono bene e hanno la chioma ancora verde, vivono secoli, così i tuoi libri che parlano ancora al cuore di milioni di lettori in tutto il mondo, lontano dalle ideologie, oltre i costumi, le idee, le civiltà. I nomi dei critici di allora, come Leonida Rapaci, che ti attaccava ferocemente, senza motivo, scrittori invidiosi del tuo successo, sono oggi polvere nella polvere. Per quelli che non ti vogliono ascoltare e fanno il loro lavoro accecati dall'ideologia o dalla stupidità, hanno già un piede nella fossa della dimenticanza.Giovanni Guareschi caricatura
Ho scritto più volte che sei uno scrittore più vivo da morto che da vivo, sono passate molte generazioni di lettori, sono cambiati i tempi e le mode, ma tu resti ancora attualissimo proprio perché parli al cuore dei tuoi lettori. Non è un insegnamento da poco questo, caro Giovannino. Hai bucato il tuo tempo e sei diventato un classico del Novecento alla faccia di chi t'ignora e non ti ha mai letto, ai critici che hanno definito meschini i tuoi racconti dimostrando quanto meschino fosse il livore nei tuoi confronti, quanto meschina sia la loro critica, e il loro approccio alla bellezza della letteratura, dimostrando che per loro fare critica vuol dire grattarsi la rogna che hanno addosso per una carriera senza luce. Almeno aprissero i tuoi libri e non confondessero i romanzi con i racconti di don Camillo. Continueranno a scrivere per le loro cattedre, per tenersi stretto il loro piccolo potere di critici morti, senza sapere di aver scritto interi volumi di tombe. Quei libri sono cimiteri. E il tragicomico è che non si sono ancora accorti di essersi seppelliti da soli. Hanno categorie vecchie, hanno idee inattuali, hanno pensieri critici deboli. Sospetto che non amino molto la letteratura. Criticamente continueranno a snobbarti, oppure parleranno di te con leggerezza e sufficienza ma tu sei parte di quei grandi scrittori che hanno fatto la storia della letteratura dalle origini ad oggi. Per avvicinarsi alla tua scrittura ci vuole molta umiltà, apertura mentale e soprattutto non essere accecati da nessuna ideologia o dalla propria boria. Così ho fatto quando ho cominciato a rileggerti sul serio, con tutti gli strumenti che mi ha dato la mia formazione bolognese, sono entrato in un mondo straordinario di creatività, di vita, di bellezza e d'insegnamento. Sei tradizionale in un mondo moderno pieno di macchine straordinarie come la radio e poi il cinema e la televisione. Pur essendo un tradizionalista, sei stato più moderno di quelli che si dichiaravano moderni e che oggi, invece, sono nella dimenticanza. Se continueranno a ignorarti peggio per loro. Hai il solo peccato di aver soffiato, scoperchiandolo, l'avello delle loro tombe, e tu sei ancora vino, con i tuoi racconti che parlano ancora al cuore degli uomini. E questo è un insegnamento non da poco per chi vuol scrivere e fare letteratura.
Scrivere questo libro è stata un'esperienza piuttosto straordinaria. Mentre in archivio leggevo, studiavo, cercavo documenti e sfogliavo giornali, attorno a me camminavano Alberto e Carlotta che rispondevano al telefono, accoglievano turisti in visita alla mostra permanente a Roncole Verdi, di fianco alla casa di Giuseppe Verdi, e mentre parlavano con i numerosi nipoti, io scrivevo. Ho avuto la fortuna di vivere con i personaggi dei libri in carne ed ossa. Parlavano con me. Ho pensato spesso che doveva essere come ritrovarsi nel proprio studio, il principe Miskin e la bellissima Nastas'ja Filippovna che entra nel romanzo, e dunque nella vita, sbattendo la porta. Insomma, trovarsi a parlare con i protagonisti dei tuoi racconti è stata un'esperienza non comune.
«Ho letto che eri bravo in latino» dico ad Albertino e lui mi guarda e mi sorride. «Hai visto!» mi risponde con la faccia sorpresa. «L'hai
letto nel racconto dove si parla della cappellaia di Busseto, vero? Ci provavo, mi piaceva, i risultati alla fine erano quel che erano». Albertino sorride.
«Ma eri davvero così terribile?» chiedo a Carlotta. « Chi me?» mi risponde la Pasionaria.
È stata davvero un'esperienza strana ma umanamente straordinaria e a loro devo tutto il mio ringraziamento e il mio affetto.
Spesso gli studenti che entrano nella mostra permanente che racconta la tua vita, chiedono di incontrare Alberto e Carlotta, protagonisti dei racconti, e rimangono delusi perché loro rispondono: «Siamo noi», e se li vedono lì, davanti a loro, adulti, con i capelli bianchi. Sarebbe come incontrare Tom Sawyer vecchio e con la barba bianca. Insomma, un bell'incontro, un'esperienza letteraria critica e umana non comune, come avviene alla lettura dei tuoi racconti.Giovanni Guareschi Alpino
Così, caro Giovannino, quando ho deciso di scrivere la tua biografia non ho voluto citare troppi libri, ho tenuto le note piuttosto leggere, essenziali, perché non volevo appesantire una lettura che doveva essere per tutti. Non ho usato un linguaggio criptico e critico, ho cercato anche di essere chiaro e rigoroso, senza mai sfiorare la banalità, perché volevo parlare a tutti e non solo alla ristretta cerchia di chi legge saggi universitari. Volevo portare i tuoi lettori dentro la tua macchina creativa, così semplice e così complessa insieme perché per leggerti e leggere la tradizione dei tuoi amici umoristi ci vogliono strumenti nuovi, adeguati. I tuoi lettori, Giovannino, sono quelli che leggono i tuoi racconti e a loro, con un linguaggio anche da racconto vero e proprio, volevo parlare. Spero di esserci riuscito. Sono entrato nel tuo studio, ho cercato le pinze, le lime, i martelli del tuo lavoro narrativo, sia che fosse scritto o disegnato, indagando i meccanismi, scavando alle radici, per vedere dove nasceva quella quercia verde così potente la cui bellezza domina ancora il campo. E ho scoperto una gigantesca macchina narrativa, un grande laboratorio creativo. Hai portato nel Novecento personaggi come don Camillo, Peppone, la Pasionaria, Margherita e Albertino, Cat e la Già. Sono loro i protagonisti di due grandi epopee che attraversano il Novecento, due storie che raccontano di noi, del nostro paese, del nostro essere "eroi comuni" che i Auguri di Guareschi dal campo di concentramento»
critici confondono ancora con la banalità e non hanno la sensibilità per avvertire quel «cupo color di tragedia» che ondeggia nelle divertite storie della famiglia Guareschi. Pensavo di conoscerti e invece, in questi due anni di lavoro, mi sono dovuto ricredere. Ho ricominciato a leggerti da capo, come se non ti avessi mai letto prima, ho sfogliato decenni di giornali dove tu scrivevi, disegnavi, e ho capito quanto hai lavorato nella tua vita: una follia per chiunque, impensabile oggi anche se abbiamo tanti mezzi che ci aiutano a scrivere e a far ricerca. Hai lavorato tanto per dare un sorriso al mondo, per donare consolazione ai cuori degli afflitti, e come i grandi classici della nostra letteratura, hai capito che la letteratura è anche consolazione, è divertimento, è satira, è indignazione, è polemica, è politica allo stato puro, è difesa prima di tutto dell' uomo, della sua verità di fondo, e quindi del dio che vive in ognuno di noi. Non ti hanno fregato Giovannino, no, loro pensavano di averti messo da parte, ma sei tu che hai fregato loro, e i tuoi ventitré lettori, che sono molti di più nel mondo ancora oggi, non lo hanno e non ti hanno dimenticato. Il mondo viaggia per un'altra strada ma la tua narrativa indica invece la strada dritta del cuore. E questo, ancora oggi, è molto sovversivo. Molto sovversivo. Il tuo messaggio è scomodo nel vero senso della parola, capace di un gesto dirompente. Bisogna continuare ad essere scrittori sovversivi, fuori dalle mode, fuori dalle ghenghe, dalle piccole cricche dei critici e dei potentati letterari, ricchi di umanità e di belle storie da raccontare per i tuoi ventitré, preziosissimi lettori.
Grazie Giovannino, spero d' incontrarti uno di questi giorni, in un qualche crocicchio della Bassa con la tua bicicletta, mentre ti fumi una sigaretta. Sarà bello raccontarsi un po' di storie da ridere e poi guardare il sole che scende oltre il muro di pioppi, nell'ora che è degli angeli e dei topi.

Alla prossima
Guido Conti


Guido ContiGuido Conti è nato a Parma nel 1965. Ha pubblicato i volumi di racconti Il coccodrillo sull'altare (1998) e Un medico all'opera (2004) e i romanzi I cieli di vetro (1999), Il taglio della lingua (2000), Il tramonto sulla pianura (2005) e La palla contro il muro (2007). Ha curato Dite la vostra, raccolta di scritti giovanili di Cesare Zavattini e, insieme a Manuela Cacchioli, il carteggio tra Attilio Bertolucci e Cesare Zavattini, Un'amicizia lunga una vita. Lavora come direttore editoriale presso la Monte Università Parma editore.

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