LUNARIETTO GIULIANO 2008
a cura di Noella Picotti
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del tempo tende sempre più a coprire ed offuscare.
          E senza intendimenti didascalici, ma con l’immediatezza e la semplicità e la concisione che devono esserci in ogni lunarietto o almanacco che dir si voglia, come già rilevava la (dimenticata) scrittrice Caterina Percoto in una lettera dell’aprile 1852 all’amico corrispondente Francesco Dall’Ongaro: “Ce n’è peraltro dei lunari che valgono i grossi volumi di qualche grande filosofo e la verità la dicono assai più schietta, perché la dicono alla buona senza tante giravolte”. Come appunto fa oggi il Lunarietto giuliano, ma senza, come dicevo, intenti didascalici e istruttivi che erano invece alla base degli almanacchi e dei lunari di un tempo che miravano ad andare incontro alle esigenze d’informazione del popolo al fine di una sua elevazione culturale e spirituale.
           É intorno alla metà dell’800 che gli almanacchi hanno la loro massima diffusione, con tirature enormi per l’epoca, diventati così autentici veicoli di acculturazione e fertili
Copertina Lunarietto 2007
Studio Imaginis
Il Presidente dell'Istituto Giuliano
Tino Sangiglio
Siamo già a 14: tanti infatti gli anni in cui l’inossidabile Lunarietto giuliano esce e altrettanti di conseguenza i suoi variegati volumetti con i quali si presenta anno dopo anno ai suoi affezionati lettori ed estimatori. Mantenendo sempre fede al suo assunto fondamentale: dare notizie curiose, ricordare avvenimenti passati, riproporre figure di personalità illustri ma dimenticate, senza pretese di alta cultura, ma piuttosto con la ferma intenzione di fermare nella memoria fatti  ed accadimenti importanti della Venezia Giulia che  la patina
dispensatori di conoscenze, precetti, consigli, ricette che potevano oltre tutto essere praticamente utilizzabili. Famosi furono gli almanacchi milanesi del Nipote del Vesta Verde e quello dell’Amico del Contadino e addirittura il grande Pietro Verri aveva messo su nel 1758 il suo almanacco Il gran Zoroastro.
           E anche il nostro Friuli ebbe attive presenze in questo campo, a cominciare dal famoso Stroligh furlan di Pietro Zorutti, uscito dal 1821 al 1861, poi da quello “antizoruttiano” di Antonio Broili, intitolato Lunari furlan che circolò dal 1846 al 1851 e da Il contadinel di Giuseppe Ferdinando del Torre, uscito nell’ambito del Friuli isontino dal 1856 al 1894. Ma importanti furono anche i lunari del goriziano Giovanni Luigi Filli usciti negli anni 1849, 1856, 1857 e 1858 e del gradiscano Federico de Comelli che nel 1855 pubblicò un nuovo lunario, quella Strenna popolar pal 1855 che è fortemente innovativa viste le finalità altamente culturali e scientifiche dalle quali è animato, a fronte della filosofia spicciola e allo spirito ridanciano che erano i limiti dei precedenti almanacchi.
           Il percorso del Lunarietto giuliano si situa a mezza strada tra questi illustri predecessori, lasciando cioè da parte le tentazioni didascaliche come le velleità scientifiche e mirando piuttosto, anche con la pregnanza delle immagini e delle illustrazioni, a tenere una sorta di conversazione e di dialogo con il lettore, proponendogli uno scambio di opinioni, una piccola panoramica di idee, qualche sintesi di giudizi storici o letterari, cercando insomma di coniugare l’informazione, specie per fatti che ormai sono diventati sempre più sfocati, e la memoria di avvenimenti e di personaggi che, viceversa, occorre mantenere saldamente in vita. É’ ciò che ha fatto egregiamente Noella Picotti, la curatrice dell’edizione 2008 del Lunarietto giuliano, piacevole, snello, scorrevole viatico per una lettura insieme divertente e utile, rasserenante e appagante. Amico lettore, buon pro’ ti faccia allora e alla prossima edizione!
Maria Callas apparve per la prima volta sulle scene triestine il 17 aprile 1948 nel ruolo di Leonora ne “La forza del destino” di G.Verdi, durante la ripresa della stagione lirica al Politeama Rossetti, dopo la fine della seconda guerra mondiale.In quell’anno la Callas, che aveva ventiquattro anni, si esibì in molte città italiane, soprattutto nei personaggi di Turandot e di Isotta, ma a Trieste vestì per la prima volta i panni di un’eroina verdiana, ruolo che offriva alla cantante molti spunti di espressione drammatica.Grande consenso da parte del pubblico, ma alcuni interessanti e contrastanti pareri da parte della stampa locale.Il critico de “La voce libera” scrisse: <Maria Callas ha voce penetrante, non sempre felicemente timbrata, ma notevole per robustezza e resistenza.>Al contrario su “Il Lavoratore” si scrisse: <Maria Callas s’è dimostrata un’attrice di primo piano, molto coscienziosamente preparata e sicura nel registro acuto.> Di parere diverso il critico che commentò: <La Callas ha dimostrato di avere un considerevole volume di voce ed anche se non è ancora perfetta nell’emissione, così da incorrere in qualche asprezza sonora particolarmente nelle note acute, ha ottenuto pregevoli effetti nei suoni centrali e nei mezzi-toni, il che denota la sensibilità dell’artista.>
Ma la personalità della donna, oltreché dell’artista, fu colta con acutezza dal critico Glauco Del Basso, nel corso di un’intervista alla cantante, pubblicata con il titolo “Dalla forza di volontà alla Forza del destino” sul quotidiano serale “Ultimissime”.<Maria Callas è una signorina ben istruita che parla correntemente quattro lingue, tra queste l’italiano che viene da lei scandito con grande energia, così com’è proprio del suo carattere volitivo ed autoritario. […] Detesta il compromesso, la faciloneria e la inconsistenza di successi materiali. Perciò ha evitato, sempre, le soluzioni rapide, ma incomplete. Il suo temperamento è assolutista e, io credo di aver indovinato, sfrenatamente ambizioso. Così, come appunto dev’essere, in un uomo o in una donna, che si sforzi di salire molto in alto, in virtù esclusiva del valore e delle capacità personali.> La Callas cantò a Trieste ancora due sole volte, al Teatro Verdi; nel 1951, in un concerto accanto a Tito Schipa e nel 1953 nella “Norma” accanto a Franco Corelli.
da Ricorrenze - pagina 94
Maria Callas a Trieste
I borghi a Turriaco occupano ben tre angoli del paese, spazi per fortuna ancora lontani dalla speculazione edilizia e che, ci si augura, tali rimangano.Il borgo più antico, quello da cui si ritiene si sia sviluppata la rete viaria del paese e l’abitato stesso, è il Logo vec, oggi in via Oberdan, quell’arteria che, un tempo, conduceva da San Zanut alla Pieve di San Pietro.Il Borgo de le tartare è invece il nucleo abitativo che sorge in piazza Libertà, dietro al campanile, così definito per il cicaleccio prodotto dal chiacchiericcio delle donne durante la giornata. L’ultima realtà “borgale” sorge invece su via Aquileia ed è il Borgo de Dodo: un nome derivante da una famiglia lì residente, quella di Antonio Fabris che curava una botega di cui oggi non c’è più alcuna traccia e che sorgeva proprio all’imbocco di via Mitraglieri, nell’odierno borgo. Questo negozio inizialmente fu di Giovanni Marni, probabilmente il signor Fabris iniziò da lui come garzone per poi portare avanti da sé il negozio nel borgo.Entrambi questi due borghi sorsero più tardi rispetto al primo e sono degli insediamenti sviluppatisi, probabilmente, successivamente alla costruzione della chiesa. La caratteristica di tutti questi
Passeggiata tra i borghi di Turriaco
nuclei abitativi era quella di far sentire gli abitanti un’unica grande famiglia: le persone che vi abitavano si conoscevano perfettamente. Erano note le abitudini di ogni persona: c’era chi ndava a crote par vendarghele a i siori, chi vendeva savon e varechina in credenza, chi che se levava bonora e prontava al cafè cu la polenta brustulada par duti… (da un ricordo della Genia Ghea, una signora che abitava nel Logo Vec, raccolto da Vittorio Spanghero).Passeggiata tra i borghi di Turriaco. Le donne d’estate facevano molti lavori all’aperto, curavano la verdura, stendevano i panni,… e ogni lavoro era occasione per scambiare due chiacchiere con gli altri abitanti del borgo, per condividere pensieri, opinioni, e passare in allegria anche i momenti che potevano essere pesanti durante la giornata, quelli caratterizzati dal lavoro quotidiano.
Alla sera, dopo cena, i ragazzi giocavano a nascondino attorno al pozzo - tutti i borghi ne avevano uno, segno dell’importanza di questi nuclei abitativi per l’intera popolazione - ed erano soliti nascondersi in diverse parti, ma i nascondigli più gettonati erano le porte delle case: queste, infatti, rimanevano sempre aperte ed erano un ottimo rifugio per gli avventori del gioco. Elisa Baldo
Una veduta del Borgo de le tartare
da Itinerari - pagina 78
La copertina e i disegni sino di Gabry Benci
Presentazione del Lunarietto 2008 a Trieste
Presentazione del Lunarietto a Turriaco
Ha scritto del LUNARIETTO:
la VOCE ISONTINA
di Gennaio '08
Così scriveva
IL PICCOLO
di TRIESTE il
17 dicembre
2007