IL BANCO DI LETTURA

estratto dal numero 30/2005

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da RUBRICHE - a cura di Mariuccia Coretti

ANTONIA ARSLAN, La masseria delle allodole, Milano, Rizzoli, 2004, pp.236, € 15,00.

Antonia Arslan - lo dice il nome - è di origine armena. Già professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Padova è saggista e appassionata tanto delle vicende del suo popolo da scriverne in varie riprese e tradurre il poeta armeno Daniel Varujan. Infine ha sentito il bisogno di testimoniare il genocidio del 1915 degli Armeni e così è nato questo suo primo romanzo che ricostruisce in modo creativo la storia della sua famiglia. Una testimonianza che si rifà a tante voci, ricordi, sentito dire di Armeni, suoi parenti o amici, che è autobiografia e nello steso tempo invenzione, ma sempre sul crinale di documentazioni, di storie vere o verosimili, di fatti senz'altro accaduti in quella terribile estate del 1915.

Antonia è un'Armena nata e vissuta in Italia e dell’Anatolia ha sentito solo parlare o ci è andata da turista e suo padre fu pure un Armeno nato in Italia, ma suo nonno Yerwant fino ai tredici anni è vissuto laggiù in Turchia, poi ha voluto andarsene, non volendo accettare di buon grado la matrigna e frequentando prima il collegio armeno a Venezia per diventare poi un illustre e ricco chirurgo di stanza a Padova. Però Yerwant, pur vivendo splendidamente in Italia, ha avuto sempre nel cuore la sua patria, la masseria delle allodole e suo fratello Sempad con moglie e figli, rimasti fedeli alla loro terra e così, all'inizio del 1915, all'età di circa cinquant'anni, ha concertato un viaggio in Turchia, per la gioia di Sempad che vuole accogliere il fratello e la sua famiglia nel modo migliore. Denaro non gli manca, da ricco farmacista e può allora pensare alle cose più belle da far trovare a chi si è degnato di voler venire da tanto lontano, alla cognata soprattutto, contessa italiana, che dovrà ricredersi su un certo mondo orientale. Ma l'Italia entra in guerra e si chiudono i confini; il viaggio tanto sospirato allora non si farà, come i due fratelli non riusciranno mai a riabbracciarsi.

Questo l'antefatto, se si può dire. Da questo momento comincia il vero romanzo e la vera tragedia, una tragedia condotta con mano sicura e veritiera, senza lasciar nulla al non detto, dove si avverte però sempre la pietà e la tenerezza, dove la crudeltà, la ferocia, la violenza s'impastano con la dolcezza, la sopportazione, la gratitudine, dove il male va sempre in tandem con il bene e malgrado tutto si vive in un'atmosfera di sogno, di fiaba folle, ma in ogni caso fiaba.

Gli Armeni, provati mille volte dal destino, sono pronti ad accettare ogni cosa; pazienti, pensano di salvarsi ancora una volta con il denaro e i ricchi ne hanno tanto e vogliono dividerlo con i poveri e pagare chi li governa. Ciò invece non basta: dovranno essere sterminati come minoranza, non dovranno esistere più; almeno così la pensano i Giovani Turchi di allora. Così tutti gli uomini validi vengono uccisi in modo barbaro con l'inganno in quel lontano 1915 e anche i bambini maschi della famiglia di Sempad con Sempad stesso. Così comincia la terribile deportazione delle donne, dei vecchi, dei bambini, i quali devono tutti lasciare le loro case e uscire dalla Turchia. Con gli abiti trasformati in stracci, logorati da ogni angheria e stupro e violenza, affamati, piagati, senza più i propri carri e i viveri ormai razziati dalle orde curde, sempre scortati dagli zaptié a cavallo, escono dalla Turchia e poi da Aleppo più che decimati, votati uno a uno alla morte. Meta ultima Deir-es-Zor e quindi la fine.

Ogni occasione di morte è trattata con fermezza e sofferenza insieme e l'ala del Signore copre ogni ferita, benedice ogni debolezza, conforta ogni dramma mentre per ogni accadimento ci sono sempre massime tratte dalla Bibbia o parole simboliche o immagini paradigmatiche, dal timbro di fuoco.

Poi il destino del romanzo si compie. Ho detto del male in connubio con il bene. Ebbene, durante la lunga deportazione, lo sfacelo di tante creature buone anche della famiglia di Sempad, ci sono delle persone devote - poveri esseri di poco conto un tempo ma sempre omaggiati dai ricchi Armeni: il mendicante turco Nazim, forte della presenza sul territorio della Confraternita dei mendicanti; la greca Ismene, furba lamentatrice, da tutti rispettata; il prete greco Isacco - che si danno da fare per salvare ad Aleppo presso il fratellastro di Sempad, il medico Zareh, quelli della famiglia che sono ancora in vita. E così avverrà che tre bambine e un maschietto (che era stato per scherzo vestito da femmina e così era rimasto fino allo sterminio e in tal modo si era salvato dal primo massacro) dopo essere stati per un anno nascosti da Zareh nella sua cantina, potranno, con i dovuti sotterfugi, raggiungere per mare l'Italia ed essere poi accolti da Yerwant. Gli unici sopravvissuti al genocidio.

Con questo atto d'amore Antonia Arslan si congeda, un atto dovuto alla sua stirpe, ma anche un grande romanzo che di per sé ha la forza e la dolcezza della vera poesia. Una poesia che non poteva essere ignorata dal Premio Campiello e soprattutto dalla sua giuria popolare.

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